Nell’attesa del nuovo governo e della decisione di dove immagazzinare i nostri camion (una fila come tra Milano e Torino) di materiale radioattivo, è on line un filmato che in due minuti ricorda decenni di disastri radioattivi.
Le conseguenze purtroppo sono dilatate nel tempo. Il fatto che un disastro sia passato da un po’ (son 27 anni da Chernobyl) non ci rende immuni dalle conseguenze. Ce lo dimostrano i cinghiali radioattivi delle valli piemontesi: su 100 analizzati, ben 25 avevano delle dosi di Cesio 137 molto superiori al previsto (soglia massima consentita 600 Becquerel, soglia rilevata 5621). Non illudiamoci che l’effetto sia limitato al Piemonte e ai cinghiali, perché se gli ungulati tra Val Susa e Monviso son quasi diventati fosforescenti andando a ruzzolare tra cespugli irrorati di Cesio, non è finita lì. La nube di Chernobyl, prima di arrivare a godersi il panorama della Mole, è passata dalla Scandinavia e su tutto l’arco alpino tra Alto Adige e Liguria. Non solo: come troviamo gli effetti nei cinghiali (e quindi nelle loro carni, salsicce, derivati e in tutto quello che non è ancora stato analizzato), è lecito aspettarseli anche nei funghi, nei tuberi, nei frutti di bosco e nei tartufi. E tutta ‘sta roba chi l’analizza?
Insomma, se ricordare non guasta e ci aiuta a tener presente che non è mai saggio manovrare cose che poi rischiano di scappare di mano (maneggiare l’atomo non è come giocare col Lego), è meglio d’ora in avanti tenere un occhio anche su quel che ci capita di mangiare tra le valli. Quel che credevamo puro perché protetto dalla natura selvaggia, potrebbe non esserlo. Ve lo dice un goloso che vorrebbe davvero evitare di andare in giro con un contatore Geiger in tasca.