La diffusione delle auto elettriche potrebbe a breve subire un drastico aumento. La buona notizia arriva da un’iniziativa dell’azienda più avanzata al mondo nel settore. La Tesla ha deciso di rendere pubblici i propri brevetti e non fare causa a chi decidesse di adottarli per migliorare e rendere più economiche le tecnologie di produzione dei veicoli ad emissioni zero all’utilizzo.
Crediamo che sia la Tesla, sia le altre case automobilistiche, sia il mondo intero, tutti abbiamo da guadagnare dalla rapida evoluzione di una piattaforma comune.
La dichiarazione è di Elon Musk, il CEO dell’industria di Palo Alto (California), che sposa così la logica della completa condivisione delle informazioni per aumentare i risultati. Recita uno dei cardini della psicologia della Gestalt che “l’intero è maggiore della somma delle sue parti”: dieci persone mettono su un tavolo 10 idee, ma non è detto che all’uscita dalla stanza le idee siano 11 o più, con nuovi spunti nato dallo stimolo dell’interazione. Possiamo dunque immaginare che la piattaforma comune auspicata da Musk possa superare le barriere dei costi e degli altarini delle singole case per portare le auto elettriche a seri livelli di competitività con quelle a propulsioni termica.
Curiosa la citazione di Fortune sul ricco imprenditore americano, titolare anche di una società di tecnologie aerospaziali: “Elon Musk è stato sempre un ribelle. Ora è un ribelle open source”
Perché è importante la decisione della Tesla? Perché l’azienda produce veicoli assolutamente paragonabili per comfort, prestazioni ed estetica a quelli che troviamo nei concessionari. Lo sviluppo avviene in California non a caso: la legge dello stato impone che per il triennio 2014-2017, il 14% delle auto vendute da ciascuna casa automobilistica deve esser a emissioni zero. Anche la Fiat ha una versione della best seller 500. Peccato che poi il suo CEO ne sconsiglierebbe l’acquisto. Signor Marchionne, se lo avesse affermato davvero, potrebbe spiegarmi la ragione di quello che mi sembra un autogol?
Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.