Tutti gli articoli di stefano paolo

Milanese, laureato in Bocconi, giornalista e autore di documentari di carattere storico e geografico per i canali tematici di Sky (con specializzazione in ambiente, storia, tradizioni). Ha firmato progetti per National Geographic e per History Channel. Collabora, tra gli altri, con RViaggi di Repubblica e il Corriere della Sera e l'Huffington Post (http://www.huffingtonpost.it/stefano-paolo-giussani) Libri pubblicati: Gli italiani del Titanic, L'Ultima onda del lago (Premio Brianza 2012), Sentieri di fede e una serie di monografie per Touring Editore e l'Istituto Geografico De Agostini. Il suo blog è Cronache dalla Terra degli orsi. Continua a viaggiare, scrivere e fotografare per Agenzia Geografica (www.agenziageografica.it).

La bicicletta che non va a petrolio

Il decreto Sblocca Italia di Renzi non piace a Legambiente, Greenpeace e Wwf Italia. Difficile dare torto alle posizioni degli ambientalisti: uscire dal pantano non deve significare prendere il largo in un mare di petrolio. Il fronte anti-trivelle ha appena lasciato il sit-in davanti a Montecitorio dove ha manifestato contro gli orientamenti filopetroliferi dell’esecutivo, ma era solo una delle tappe del programma di mobilitazione nei punti bollenti del nostro Paese.
 
Il punto in questione è l’articolo 38, che favorisce la nuova colonizzazione del nostro territorio e dei nostri mari da parte dell’industria petrolifera, invece di difendere l’interesse pubblico e uno sviluppo economico sostenibile. Le associazioni ambientaliste pensano che le norme in questione sono parte di una strategia delMinistero dello Sviluppo economico che tende a favorire gli interessi dei petrolieri.
Signor Presidente, le smentisca! È stato davvero un piacere vederla in bicicletta durante le campagne elettorali. La prego di tornarci su quella bici, a me pedalare aiuta a schiarire i pensieri, magari anche a Lei. Magari potrebbe poi trovare idee per creare posti di lavoro e spunti di rilancio nello sviluppo delle rinnovabili. Visto i sorrisi che vi scambiate, chieda ad Angela (Merkel) come è andata da loro. Lei si sente forte del sostegno ricevuto con le elezioni. Si ricordi quanto l’hanno aiutata le bici e pensi al successo ulteriore che avrebbe un presidente giovane che scommette su un futuro fatto di vento e sole e non su quell’asfalto che ci ha infilato dritti nel pantano.
Divertono abbastanza tutte le foto in rete di lei in bici, ne faccia una campagna chiara: “No oil!”. 
Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Social Street, che bello salutarsi in città

Social Street compie un anno e a Bologna, Milano, reggio Calabria e Palermo, solo cper citare alcune città è tempo di bilanci. L’occasione dell’internet festival di Pisa è il momento per ascoltare come il fenomeno si sia diffuso dalle sue origini fino ad arrivare ad essere un fenomeno di ecologia urbana. Social Street è innazittutto un social di ritorno. Per chi crede che facebook sia l’anticamera della solitudine, Social Street è la smentita. Ci si incontra su fb, ma poi ci si vede anche perchè ci si scopre vicini. Milano è la seconda città per Social Street dopo Bologna, l’ultima aggiunta è Reggio Calabria, ma nella lista ci sono anche piccoli paesi a conferma che non c’è più distinzione tra grande città e centro minore. A Palermo diventa l’occasione per rompere schemi consolidati.
Forse c’è una Social Street anche vicino a te
La forza delle Social Street è quella di nascere dal basso, non c’è competizione tra le vie ma grandissima libertà e socialitá a costo zero. Si aiutano a recuperare beni, si trasforma un parcheggio abusivo in area pedonale, si fa in modo che perfino l’amministrazione si rende conto del vivere comune senza esprimere una direzione. Pierluigi, ricercatore chimico in pensione della storica via Fondazza bolognese da cui è partita la scintilla, racconta della signora che da Trieste esprime il desiderio di tornare nella sua Bologna e i cittadini si attivano per aiutarla a trovare casa.
Qualcuno chiede, qualcuno offre, senza regolazioni economiche, solo il sapere che ci sia qualcuno che magari ti nutre il gatto se sei via è un aiuto. Non servono milioni di investimento ma un sistema protetto dove non ci sono amministrazioni o movimenti politici a cui rendere conto. E’ dunque l’affermazione che la città appartiene ai cittadini e non alla pubblica amministrazione. L’obbiettivo primario è creare socialità e se fallisce questo non è più Social Street. Poi possono esserci altri obbiettivi secondari come organizzare mostre, eventi, recuperi, ma non vogliamo perdere la concentrazione sulla socialità
Un fenomeno di questo tipo è molto simile al vecchio sistema che nei paesi era vicino all’assistenza sociale, quella positiva che non solo vigilava ma era anche un aiuto a vivere. Ed è curioso che proprio ora, nell’era dei social virtuali, ci sia un ritorno. Federico Bastiani, ideatore di Social Street, spiega la ragione dell’interesse dei sociologi al fenomeno.
Nell’implementare Social street volutamente non abbiamo creato una struttura che stabilisse regole ferree, non abbiamo registrato loghi, non abbiamo sposato i classici meccanismi che guidano la nostra economia basati sul do ut des, abbiamo tenuto fuori l’economia e la politica per preservare l’obiettivo originale del progetto, ricostruire la socialità nelle città, a costo zero. Un messaggio semplice dal forte impatto sociale, la potenza del saluto, di un abbraccio fra vicini di casa, la potenza del dono… non sono misurabili in un “bilancio” perché sono relazioni, sono capitale sociale impagabile. Da questa “banalità” del messaggio sta scaturendo un’energia ed una forza che a detta dei sociologici, non ha precedenti e per questo siamo oggetto di studio. Non è un caso che attualmente abbiamo diciotto tesi di laurea differenti che studiano il modello Social street fra sociologici, antropologi, psicologi della comunità, economisti.
Sembra insomma un progetto che di positivo non ha solo il fatto che forse si ritrova l’interesse a sapere cosa puoi fare per il tuo vicino, ma anche l’idea che si crei una responsabilità comune. La strada dove abito è anche mia, se tengo in ordine la casa dove abito, perché non dovrei fare altrettanto con l’ambiente fuori della porta? Vale per la pulizia, l’ordine, la cortesia tra le persone. Chiamateli pure sognatori, se vi va, ma nella vita alcuni sogni, se ci si crede fortemente, sono raggiungibili.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

C’è una bomba innescata sull’Italia

Il disastro del Vajont coi suoi morti potrebbe ripetersi. Su altra scala e in altri luoghi, ma potrebbe ripetersi. Il 9 ottobre del 1963 un pezzo di montagna crollava in un invaso dopo che le acque dello stesso invaso ne avevano rosicchiato le fondamenta. L’onda provocata travolse tutto e tutti quelli che incontrò nella sua corsa verso il fondovalle. E’ stata la cronaca di un disastro annunciato perché tutte le evidenti avvisaglie erano state ignorate. Quanti Vajont rischiamo?
Nella ricorrenza della tragedia, lo stato italiano commemora oggi le vittime dei disastri ambientali. Il governo sta lavorando attraverso ‘Italia sicura’ al collocamento dei fondi (quasi 10 miliardi di Euro) sulle aree a rischio. Scorrendo il comunicato si assiste all’appello delle ultime frane, esondazioni, dissesti che hanno toccato la penisola. Tirassimo una linea sull’ultimo secolo, sarebbe circa 12000 il totale delle vittime provocate dalle frane, un dato che non stupisce neanche troppo in una nazione dove 4 comuni su 5 hanno almeno un’area a rischio. Con la tropicalizzazione crescente del clima nazionale è come se fossimo seduti su una bomba ad orologeria. Niente esplosivo ma terra e acqua improvvise e in quantità micidiali.
La data anticipa di 4 giorni la ricorrenza scelta dall’ONU per ricordare i disastri.Oxfam.org stima in 500 miliardi di dollari (un quarto del PIL italiano) il danno delle catastrofi mondiali legate ai cambiamenti climatici. La cifra è solo un contatore asettico se lo scorrere delle lancette non segnasse la fine di vite umane legata al dissesto globale. E come spiega il direttore esecutivo di Oxfam International Winnie Byanyima:
I leader mondiali si stanno comportando come se avessimo ancora tempo per giocare, ma in realtà stanno giocando con la vita delle persone. Il cambiamento climatico sta producendo i suoi effetti ora, distrugge tantissime vite e affama sempre più persone nel mondo. I costi stanno aumentando e il ritardo potrà solo peggiorare la situazione.
Nel caso italiano e nel caso planetario, dunque, il fattore tempo è determinante. Tutti sembrano concordi nel non porsi più la domanda ‘se succederà’ ma ‘quando succederà’. Forse è il segnale che, spero, metterà chi è nella stanza dei bottoni, e dei portafogli, nelle condizioni di fare in fretta. Se la montagna che hai sopra la testa inizia a scricchiolare, è già troppo tardi.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Il macellaio e la mascotte

Pensate a un delfino e immaginatelo sorridente a rispondere al suo nome, Goccia. Il delfino era la Mascotte di Golfo Aranci e si era accattivato la simpatia di tutti. Si avvicinava alle barche e giocava e prendeva il cibo e sorrideva. é rimasto impigliato in una rete e qualcuno non ha avuto pietà. Anziché liberarlo, il risultato lo vedete qui sotto.
Il macellaio che lo ha spolpato non ha ancora un nome ma spero che arrivino a individuarlo, ma non quelli della magistratura. Non subito almeno, prima ci vorrebbe qualcuno un po’ meno politically correct perché non si può arrivare a questo punto. Chi è in grado di fare questo, è in grado tranquillamente di fare tutto il male possibile. Quindi va fermato.

Ciao Goccia…

Il buon dormire parte dal momento prima del sonno

Dormire bene per essere produttivi non basta. Qualcosa può essere fatto prima di abbandonarsi alle braccia di Morfeo. Condivido quanto letto sull’ Huff Post.



Leggere per un’ora
È Bill Gates a consigliarvelo. Leggere tutti i giorni aiuta a ridurre lo stress e migliora la memoria. Uno studio dell’Università di Essex del 2008 ha provato che leggere anche solo 6 minuti al giorno riduce lo stress del 68%. Inoltre la lettura è un’ottima palestra per la mente e aiuta a rallentare l’invecchiamento.

Unplug
Arianna Huffington è la prima promotrice dell'”unplugging”: staccare dalla tecnologia, almeno a una certa ora della giornata. Lei stessa dice di lasciare il telefono in un’altra stanza, prima di coricarsi. 
Il parere di Charles Czeisler, professore di medicina del sonno ad Harvard, è che la luce dello schermo disturba il ritmo naturale del sonno e “illude” il corpo che sia giorno. Il risultato è che il cervello non produce alcune sostanze chimiche necessarie ad ottenere un sonno tranquillo.

Organizzare il giorno dopo
Il consiglio del CEO di American Express è di scrivere una lista delle tre cose da fare il giorno dopo, ogni sera prima di dormire. Così facendo, il percorso mattutino è già incanalato e i pensieri si organizzano più velocemente.

Sprigionare la creatività
Questo consiglio è di Vera Wang, che nel 2006 ha dichiarato che proprio la sera prima di dormire per lei viene il momento di “creare, se non materialmente almeno concettuale”. 
A maggior ragione se faticate a svegliarvi, la mattina, concentrare la vostra creatività nei momenti serali potrebbe essere una buona idea.

Meditare
L’efficacia della meditazione è spesso messa in discussione, ma uno studio del 2014condotto su un campione di 19000 casi ha dimostrato che meditare prima di andare a dormire è molto efficace nella cura di stress, ansia, depressione e dolore.

Farsi una passeggiata
Questo consiglio arriva dal CEO di Buffer, che ha l’abitudine di fare una passeggiata di qualche minuto ogni sera prima di dormire. 
Da uno studio americano risulta che camminare permette alla mente di lasciarsi andare ai pensieri, favorendo la creatività.

In mongolfiera tra i profumi del sughero

Cosa c’entra Carlo Cracco con un albero di sughero? Immaginiamo di sorvolare un bosco, ma in modo silenzioso, diciamo con una mongolfiera. Galleggiando nell’alba pigra, le chiome degli alberi sono bolle di foglie sulla creta. Lui lo intravedete lì sotto, sdraiato a contemplare. Per un po’ non è più neanche il cattivone di Master Chef. Torna il ragazzo perfetto che sogni ai fornelli.
Queste isole verdi che lo circondano sono esseri viventi e producono. Un materiale che sembra uscito da un manuale di perfetta sostenibilità. Ogni dieci anni donano la loro corteccia all’uomo che la usa per farne un uso coscienzioso e responsabile. Col sughero ci tappi le bottiglie del miglior vino – parola di Cracco, appunto – ma col sughero ci fai anche le scarpe per camminare comodo, i pavimenti per abbellire la casa, gli edifici per risparmiare energia, fino all’abbigliamento, all’accessorio, all’articolo sportivo.
 
Così dal cesto della mongolfiera vedi il bosco e gli uomini che ci lavorano ma immagini cosa quel bosco e quegli uomini possono fare per una esistenza sostenibile. La campagna a nord di Lisbona è così. Un grande polmone verde con l’industria che ci ruota attorno. La sostenibilità passa anche da qui, ma non solo. È l’industria stessa che protegge il bosco perché da lì esce la sua materia prima. Se poi pensi che questa materia prima diventa monumentale in giro per il mondo, allora ti vengono un po’ i brividi.

Se credete che stia esagerando, vi capisco. Lo pensavo pure io ascoltando la prima volta le meraviglie del sughero. Conserva ottimamente e in modo naturale le migliori bottiglie, ma nelle mani delle archistar diventa l’incredibile. Herzog e De Mauron ci vedono un luogo di incontro, Siza Vieira una cantina vinicola, Kengo Zouma un museo, Jordi Armengol il pavimento della Sagrada Familla, Carlos Couto il padiglione portoghese all’Expo2010 di Shanghai, il collettivo Fat London una idea originale per un abbinamento inconsueto tra stile e design. In più ha doti di isolamento, ottimizzazione energetica e riciclabilità eccezionali.

Lo ammetto, da quanto ho visitato le sugherete del Portogallo e del nord della Sardegna, ogni volta che stappo una bottiglia mi tengo il tappo. Mi piace accarezzarlo, sentirne i profumi, immaginare che sia perfettamente riciclabile senza processi costosissimi, sognare che potrebbe essere una casa, una chiesa o un teatro. Allora torno sulla mongolfiera e rivedo il bosco, convinto che se gli alberi hanno un valore, il sughero è davvero un tesoro.
 
Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Fatti una stazione

Le ferrovie dimenticate sono occasione di gite in bici e a piedi. Specialmente quelle meno importanti, corrono a volte in posti selvaggi dove il paesaggio è praticamente incontaminato e spesso legato a nomi dalla forte attrattività turistica. Tra le prime che mi vengono in mente penso al tratto Sestri Levante – La Spezia (Cinque Terre), alla provincia di Lecce (Salento), al tratto Siena – Grosseto (parco della val d’Orcia), alla dorsale appenninica in quel meraviglioso mondo rurale tra Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria.
Molte volte, pedalando lungo questi selciati, mi sono lasciato trascinare dal sogno di recuperare uno di questi caselli e farne qualcosa di produttivo. Qualcuno ci ha pensato, proponendo ad esempio stazioni di sosta per biciclette o creando la sede di una piccola onlus come è successo nella stazione di Ronciglione. In Liguria, solo per fare un esempio avvicinabile da tutti, consiglio a chi fosse curioso di saperne di più sultratto tra Levanto e Bonassola. Il percorso pianeggiante che passa sul vecchio tracciato dismesso è pedalabile, pattinabile o camminabile dodici mesi l’anno. Ogni finestra nella roccia delle gallerie è un quadro. Ogni spazio tra i tunnel un’oasi per tuffarsi o fare un bagno di sole. Nel passaggio principale hanno perfino organizzato una galleria d’arte.
 
In tutta la penisola, le ferrovie stanno effettivamente dismettendo alcuni loro edifici e chi cerca qualche idea per lanciarsi nel turismo sostenibile dovrebbe leggere la pagina dedicata. Cito il passaggio chiave:
Fanno parte del Patrimonio FS anche 3.000 km di linee ferroviarie dismesse, di cui 325 km sono stati destinati a greenways: piste ciclabili e percorsi verdi accessibili a tutti, riservati alla mobilità dolce. Il Gruppo vuole infatti definire un Piano Nazionale di Greenways, seguendo l’esempio di altre nazioni europee, come la Spagna, con il coinvolgimento delle Istituzioni, in particolare del Ministero dell’Ambiente, delle Regioni, degli Enti Locali e delle principali Associazioni ambientaliste.
Responsabili di associazioni, volontari, appassionati del pedale e del plein air, è il momento di dimostrare che la creatività ha mille sfaccettature, anche sul verde.
Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Tempo globale e meteobufale

Cambiamento climatico annunciato dalla BBC e smentito dalla Nasa.
Dopo il global warming e le previsioni di un apocalisse di fuoco per il futuro, porte aperte al global cooling che annuncia l’avvento imminente di una nuova glaciazione.  La notizia pubblicata su molti siti è a commento delle foto NASA che mostrano come, a distanza di 12 mesi dall’estate 2012, la calotta polare artica si sia ampliata di 1.300.000 km quadrati (2,5 volte la Spagna). A chiosa dell’articolo vengono derise le previsioni, considerate a loro tempo autorevoli, della BBC, che nel 2007 davano per scomparso il ghiaccio al polo nord entro il 2013.

I ragionamenti non sono solo attinenti alle beccate giornalistiche, ma implicano anche importanti risvolti commerciali nello sviluppo delle rotte navali nell’emisfero settentrionale. Tradotto: potremmo accorciare i tempi di navigazione e influire sulle quotazioni dei prodotti, aka costerà ancora meno produrre in Cina.

Non sono un meteorologo e non credo attendibili le previsioni oltre la settimana. Però mi colpiscono le tendenze dei dati statistici e il detto che una sola rondine non faccia primavera. Le tendenze delle temperature sono mediamente e oggettivamente in crescita, dimostrando dunque che qualcosa sta cambiando. Che poi sia l’uomo o la termoregolazione di Gaia nessuno è in grado di stabilirlo con assoluta certezza.

E’ importante essere consapevoli di questo, come lo sono le circa 700.000 persone appena scese in piazza in giro per il mondo per ricordare che, a prescindere dalle sorprese che la Terra potrebbe riservarci, siamo solo formichine. Piccoli esseri che comunque debbono un po’ di rispetto al loro formicaio  perché non ne hanno un altro. Mettiamoci sempre nei panni di un ET che arriva da noi e, dopo secoli luce di vuoto e sostanze irrespirabili, trova una bolla azzurra con cascate e foreste e, appena dietro l’angolo, la peggior discarica a mare con a fianco una qualsiasi Ilva di Taranto. Cosa pensereste al suo posto?

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Legno vecchio e poesie di mare

Le vele d’epoca degli yacht 15 metri stazza internazionale in una sera d’autunno a Portofino. La montagna rinfresca l’aria tra le case che non perdono i colori, semmai li fondono con le ombre che scendono dal bosco vicino. Le barche in porto sono allineate all’ormeggio con la prua verso il mare aperto. Le luci sui loro alberi sostituiscono le stelle nel cielo plumbeo. Le sartie si stiracchiano e il legno degli scafi respira, sono le voci di queste signore del mare che stanno raccontandosi le imprese della loro vita. Sono solo a passeggiare sul molo e origlio. 


Ne hanno di esperienze da raccontare. La più anziana, Mariska, è del 1908. Non posso non pensare a questi 106 anni che hanno visto il secolo più travagliato dell’uomo, lo stesso in cui mani sapienti hanno creato e mantenuto uno scafo che sembra la forma lignea dell’onda perfetta. Curioso no? La stessa mano che distrugge e crea.

Una targa al suo interno elenca i nomi dei suoi proprietari, ma quello attuale non vuole definirsi tale. “L’ho solo in consegna prima di passarla al prossimo che la condurrà per mare”, ha raccontato a cena. È il principio della sostenibilità, mantenere non per consumare ma per permettere a chi viene dopo di beneficiarne. Di una barca, del vento, della Terra. Così quando mi invitano a bordo e appoggio i piedi nudi sul ponte in teak avverto sotto di me il mare, il fondale, Gaia.
Tra le persone che hanno vissuto con Mariska anche un pianista. Ne aveva fatto la propria casa e le foto in bianco e nero ritraggono un uomo felice in tutto quel legno. Se mi metto a guardare le insegne degli altri gioielli galleggianti non posso non notare simboli di altri uomini meno anonimi, la corona del Re di Spagna e i colori dei principi Ranieri. Leggo le storie e trovo anche i nomi degli Agnelli, dei Rothschild e di un pezzo di Europa.


Poi, col giorno, le belle signore prendono il largo. Sanno di essere uniche al mondo ma salpano con calma. Poi in mare aperto corrono e sembra che la fatica non le riguardi. Stanno gareggiando sullo sfondo del parco che divide il Golfo di Genova dal Tigullio. Il Portofino Rolex Trophy è la manifestazione che lo Yacht Club Italiano, con la maison orologiera, dedica alle barche che hanno fatto la storia dello yachting mondiale. Sfilano con gli scafi affusolati e 400 metri di vele spiegate a raccogliere la più flebile delle brezze.


Le quattro “sorelle centenarie” MariskaHispaniaTuiga e The Lady Anne appartengono alla famiglia dei 15 metri stazza internazionale e sono accompagnate dalle cugine minori, 12 metri. Tutte ingaggiano un duello dove non scorrerà sangue. È la loro specialità. Le signore son abituate a sfidarsi in mare, salvo poi affiancarsi in porto. E ne sono passati di porti attorno ai loro alberi maestosi. 


La storia che le riguarda è cominciata nel 1908 quando il re Alfonso XIII di Spagna commissiona all’architetto navale William Fife uno yacht di quella che era la classe più all’avanguardia dell’epoca: nasce così Hispania II, varata nel 1909. La barca partecipa a numerose regate e trova un’agguerrita avversaria nella velocissima Mariska. Nel 1909 un amico del re diventa il suo primo e più competitivo rivale. Luis Fernández de Córdoba y Salabert, dodicesimo duca di Medinaceli, si fece costruire Tuiga, dandole il nome swahili delle giraffe per ricordare la sua passione per l’animale che svetta nella savana come il suo scafo svetta sul mare. La leggenda narra che a volte, durante le regate, il duca lascasse le vele per rallentare e lasciar primeggiare il suo sovrano. Quando si dice stile.


La regata è finita, tutte rientrano in porto e i colpi di cannone celebrano la vincitrice. Una Portofino molto diversa dal turistificio dei giorni di punta le abbraccia. Guardo le barche abituate a farsi ammirare e mi convinco ancora una volta che la vera eleganza non abbia età. Ma c’è qualcosa in più. Questi legni da 100 anni assecondano il vento. La scia bianca che lasciano dura solo un attimo prima che il mare la richiuda alla loro poppa. Si muovono senza tracce del proprio passaggio. Una bella lezione vecchia di un secolo ma tanto attuale.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.


Nazisti e froci nelle mura di Lucca

Titolo volutamente forte, per ricordare Bent e la sua trama pesante tra nazismo, omosessualità e Shoah a Lucca.


Passata l’estate della quale quasi nessuno si è accorto, per l’inizio dell’autunno consiglio una passeggiata in una città dove il foliage gioca con architetture preziose. Andate a Lucca. La città è splendida, completamente abbracciata dalle mura che la cingono con alberi secolari. È tra quelle mete italiane conosciute ma non troppo, così da farne godere senza sentirsi formiche turistiche e perdersi tra le numerosissime chiese e torri. Ce ne sono ovunque si appoggi l’occhio. Una in particolare, la torre Guinigi, ha un giardino sulla vetta, come volesse sbandierare l’anima verde della città.

L’occasione di questo weekend è ghiotta perfino per i Lucchesi, che possono godere della visita interna del bastione San Colombano e dello spettacolo che la compagnia “Cervelli in tempesta” ci sta tenendo.

Pavimento in roccia e terra, pareti in mattoni, luci soffuse rendono l’esperienza materica. A disorientare pensa il testo “Bent“, tratto dalla pièce di di Martin Sherman. La messa in scena del regista Lorenzo Tarocchi vi disturberà per i cambi di luoghi negli anfratti, vi offenderà quando dovrete passare tra gli insulti in una galleria di collegamento, vi farà sentire scomodi nella scena finale perché sarete portati a Dachau e allora non saprete più dove guardare. Bella lezione per sentirsi omosessuali, ebrei, zingari, gente invisa al regime. Allora il grande cancello diventerà un reticolato e sarete in prigione per davvero, sotto l’occhio severo e impazzito della follia nazista.


Opera più che mai attuale, in questi momenti in cui gli scemi di turno disegnano svastiche a destra e a manca, le mura di Lucca vi sembreranno qualcos’altro. Un posto così non vi capiterà più di vederlo.


Lo spettacolo è in scena il 21, 22 e 23 settembre (info@cervelliintempesta.it). Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.