Tutti gli articoli di stefano paolo

Milanese, laureato in Bocconi, giornalista e autore di documentari di carattere storico e geografico per i canali tematici di Sky (con specializzazione in ambiente, storia, tradizioni). Ha firmato progetti per National Geographic e per History Channel. Collabora, tra gli altri, con RViaggi di Repubblica e il Corriere della Sera e l'Huffington Post (http://www.huffingtonpost.it/stefano-paolo-giussani) Libri pubblicati: Gli italiani del Titanic, L'Ultima onda del lago (Premio Brianza 2012), Sentieri di fede e una serie di monografie per Touring Editore e l'Istituto Geografico De Agostini. Il suo blog è Cronache dalla Terra degli orsi. Continua a viaggiare, scrivere e fotografare per Agenzia Geografica (www.agenziageografica.it).

La tua femmina, pelosa e incatenata.

Sesso da animali? Chi si impressiona facilmente non inizi neppure a leggere.

L’operaio è tornato stanco dal suo turno nella miniera. Appena il tempo di una lavata nelle baracche anonime e poi una corsa alla parte estrema dell’abitato, quella a ridosso della foresta. Corre perché deve arrivare prima degli altri. L’edificio dove punta è in fondo alla via, rami e muri si confondono laggiù. Nella lurida catapecchia le luci sono soffuse, quasi l’odore le coprisse. La femmina è stata appena depilata, il rossetto è fresco e lui è riuscito ad essere il primo della serata. Così, almeno, gli hanno garantito gli uomini al piano di sotto, quelli che hanno sedato da poco l’animale. Il giovane esemplare è pronto per soddisfare le sue voglie, con le cinghie che legano i polsi al letto…

Non cercate tra i romanzi di Asimov o i racconti di Clark ambientati nelle frontiere lontane del sistema solare. Lo scritto è solo frutto della mia immaginazione dopo aver letto la notizia che nel Borneo è pratica comune usare le femmine di orango per soddisfare le voglie dei maschi. Il fatto sarebbe già di per sé grave se i maschi in oggetto fossero della stessa specie, ma qui parliamo di umani.

I fatti sono stati portati a conoscenza dalla veterinaria Karmele Llano, 27 anni, di Bilbao. Si riferiscono a una femmina di orango che la sua soccorritrice ha chiamato Pony. Pare che autorità compiacenti e individui senza scrupoli abbiano costruito un racket per fare denaro attingendo alla disperazione più nera. Cosa avviene delle femmine di orango quando “non sono più utili” possiamo facilmente immaginarlo.

Perché gli oranghi? – spiega la dottoressa Llano – Perché questo grande mammifero arboreo condivide con l’uomo il 97% del patrimonio genetico. Il suo nome in malese significa popolo della foresta. Oltre che in Thailandia gli orangutan sono importati in altri paesi d’Asia e in particolare a Taiwan dove vengono usati soprattutto come animali da compagnia. Questa è una delle più serie minacce alla loro sopravvivenza alimentando il grande traffico illegale. Un traffico che arriva, malgrado i controlli, fino in Europa al termine di una rotta che passa per il Medio Oriente. Ma il vero grande pericolo per la sopravvivenza degli orangutan è la distruzione delle foreste dove vivono, ora soprattutto a causa dell’avanzare delle piantagioni di Olio di Palma, prodotto usato nel settore alimentare e cosmetico. Piantagioni per creare le quali si uccidono le scimmie e si distrugge la foresta, loro unico habitat.

Il progetto di Karmele è on line. Chi è arrivato a leggere fino qui, e grazie per averlo fatto, può perfino adottare uno degli animali salvati.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Chiamate Darwin, non i carabinieri

Io sto con Daniza, l’orso o mamma orsa, se preferite. Lo premetto e non mi stanco di ribadirlo. Detto questo mi preme chiarire che i politici trentini non sono mai stati pro orsi. Ma non è colpo loro, nel senso che devono seguire le pressioni del loro elettorato che non ha fama di essere ecologista. E’ gente che vive in montagna e non sono da biasimare se vedono orsi, lupi e volpi come come una minaccia per il bestiame e per chi rischia incontri inusuali come possono capitare quando vivi ai margini di un paesino di montagna. Lo scrivo per esperienza, la mia casetta sull’Appennino ligure è l’ultima dell’abitato e quando rientro al buio ogni tanto penso ai rischi.

Ma qui il nocciolo della questione è un altro. Parliamo di intelligenza. Non posso pensare che il cercatore di funghi che sostiene di essersi appostato ad osservare i cuccioli non fosse a conoscenza che qualsiasi animale in libertà tende a difendere la cucciolata. Vogliamo, come è giusto che sia, puntare alla reintroduzione delle specie autoctone di animali che ci siamo giocati nei decenni scorsi? Temo che dobbiamo fare in modo che la loro reintroduzione sia a prova di stupido. In inglese si dice foolproof information e prevede che quando ti inoltri su un sentiero di un parco americano o canadese vieni messo al corrente dei rischi. Evidentemente serve farlo anche in Italia perché un cercatore di funghi, probabilmente sceso da Marte e residente in Trentino solo per caso, non ci arriva e allora scopre a proprie spese che non è sano appostarsi a ridosso di una cucciolata con un genitore attorno. Ma mettiamoci nei panni dell’orsa. Vedo dei bambini che stanno giocando e noto che dei tipi sospetti li stanno fissando oltre la rete del parco: che faccio, non intervengo? Morale: se il cercatore di funghi non ci arriva da solo e gli succede qualcosa, non è un incidente, ma “selezione naturale”. Invonchiamo Darwin, non l’abbattimento dell’orsa. Guardiamoci in faccia signori trentini, i nostri nonni erano saggi e queste cose le sapevano, poi con l’arrivo delle armi hanno agito di impulso, più  per paura del selvaggio che per il pericolo. Siamo a questo punto? I vostri cervelli hanno davvero cent’anni? Preferisco pensare di no. Ben venga dunque la mobilitazione.  #iostocondaniza!

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.


Castelvolturno, vienici a sopravvivere

C’è la Campania di Spaccanapoli, della Costiera, di Capri e di Ischia, dei Giardini della reggia di Caserta e quella cartolina del Vesuvio col pino e il golfo che fa tanto Italia.

Azzerate. Sto per parlarvi di altre cartoline. Mi ci sono imbattuto sfogliando pagine che raccontano di Castel Volturno. Castel Volturno dei negri che chi se ne frega ma fan comodo per raccogliere pomodori. Delle bufale che muoiono nei campi dopo chissà quali stenti e le carcasse stanno lì a marcire. Delle strade che le vedi in foto e in un primo momento pensi “che schifo certi paesi del terzo mondo” salvo poi scoprire che il terzo mondo ce l’hai in casa.
Un gruppo di giovani ha deciso sfrontatamente, e ce ne fossero di questi sfrontati, di raccontare il degrado partendo dagli scorci che un tempo erano quelli della vita ruggente sulla Costa Domiziana. Tra covi di tossici e blitz della procura ne è uscita una serie di cartoline la cui serie è titolata Vieni a sopravvivere da noi. La didascalia sceglietela voi. La mia non sarebbe pubblicabile.
Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.


Hiroshima e l’era del cervello in fumo

Hiroshima e Nagasaki, agosto 1945. Ieri, 69 anni fa, entravamo ufficialmente nell’era della minaccia atomica.

Il professor Noam Chosky del Mit sostiene che se un extraterrestre cercasse di datare la nostra esistenza sul pianeta, userebbe il giorno dello sgancio di Little Boy su Hiroshima come l’anno zero della nostra civiltà, quello in cui l’uomo raggiunse capacità tali da autodistruggersi.
Ne furono necessari due di confetti, perché Fat Man, quello sganciato su Nagasaki a distanza di tre giorni, era leggermente diverso da Little boy e gli illuminati strateghi decisero che non c’era miglior test che un teatro di guerra pieno di civili. La decisione conferma il senso dell’anno zero di Chosky: l’uomo abbandonava il ragionamento e il dialogo per affidarsi alla bomba.

Anna Frank, 70 anni fa

Anna Frank iniziò a morire il 4 agosto di settant’anni fa. Da quel giorno, non scrisse mai più sul suo amato diario. Perché, il 4 agosto di un lontano 1944 Anna Frank fu arrestata. Aveva da poco compiuto quattordici anni e da due viveva con la sua famiglia e altri quattro ebrei in quello che lei chiamava l’Alloggio segreto.
Il nascondiglio si trovava dietro una libreria all’interno della sezione non utilizzata della ditta di suo padre, Otto Frank, in Prinsengracht 263 ad Amsterdam.
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famiglia frank
Anna scriveva così sul suo diario:
“L’Alloggio segreto è un nascondiglio ideale! Anche se è umido e storto non esiste in tutta Amsterdam, né probabilmente in tutta l’Olanda, un nascondiglio più comodo di questo”.
La comodità di quel nascondiglio umido non bastò per salvarle la vita.
Anna tenne un diario fin dal suo tredicesimo compleanno e fu proprio quel quaderno a diventare, in quegli anni di vita clandestina, il suo più fidato amico e interlocutore. In quel rifugio storto, crebbe e tentò di passare da bambina giovane donna, ma quel processo fu interrotto, spezzato con violenza il 4 agosto di settant’anni fa.
Era una calda giornata e il profumo dell’estate era riuscito a penetrare anche dietro quella libreria, quando al quartiere generale della polizia tedesca arrivò una soffiata sul nascondiglio dei clandestini. Era il tradimento. Anna fu tradita a soli quattordici anni.
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anna frank
Julius Dettman, l’ufficiale della SD che rispose al telefono, ordinò al sottufficiale delle SS Karl Silberbauer di recarsi in Prinsengracht. Alcuni poliziotti olandesi lo accompagnarono per aiutarlo.
Anna fu arrestata insieme agli altri clandestini, mentre il sole splendeva alto nel cielo. Iniziava così a morire.
Fu deportata ad Auschwitz, in una stessa baracca con la madre e la sorella. Più tardi, Anna e Margot vennero trasferite a Bergen-Belsen. Lì, nel marzo del 1945, morì. Aveva solo quindici anni.
Non rivide mai più il suo diario, né scrisse né sfoglio un libro per il resto dei suoi brevi giorni.
Questo articolo è tratto dall’Huffington Post.

Aids, a Milano non si sta tranquilli

Tra i tanti messaggi di speranza legati alla cura dell’AIDS mi ha colpito la notizia diffusa dal Centro Operativo AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità in merito a Milano. Nel territorio della ASL del capoluogo lombardo si rilevano il 56% delle nuove infezioni nazionali, con 10 casi registrati alla settimana. Questo significa che proprio nella grande città, dove il livello di informazione e sensibilizzazione dovrebbe essere più alto, il rischio è sottovalutato. E non è finita qui, purtroppo, come spiega Gianmarino Vidoni, direttore del servizio Malattie a trasmissione sessuale dell’Asl Milano:

I dati che abbiamo sono da considerare sottostimati almeno del 30%  perché prendono in considerazione solo chi si è sottoposto a test. Le persone che credono di non correre alcun rischio e non fanno il test, anche se malate, non figurano nelle nostre statistiche.

Provocatorio, ma non troppo, lo spot realizzato proprio dal dipartimento di Prevenzione Medica dell’Asl meneghina e che si spera di diffondere grazie ai social. Dalle Parole di Coco Chanel, il regista Luca Mariani (lavora tra Milano e Barcellona, sua, tra le altre cose, la clip di Mondo di Cesare Cremonini) parte con un messaggio chiaro. Ora più che mail il profilattico è l’unico accessorio non accessorio

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.


Parlano gli animali nello spot belga dei mezzi pubblici

Una compagnia di trasporti belga ha trovato un modo spassoso per ricordare che usare i mezzi pubblici ha i suoi vantaggi. La metafora è evidente: in gruppo si è più forti e più si usano i mezzi pubblici e più i benefici aumentano, parola di pinguini, granchi, formiche e lucciole.
Il nostro problema è che in Italia i mezzi zoppicano.

Esempio 1: devo fare una gita in montagna e vorrei concatenare un percorso tra due diversi valli. Vi garantisco che trovare due bus con orari compatibili a una gita giornaliera è davvero impegnativo.
Esempio 2: ci sono meravigliosi paesaggi pronti a essere scoperti grazie alle strade ferrate secondarie e mi piacerebbe visitarli. Spesso, spessissimo, mi è capitato di mancare una coincidenza perché i ritardi mi hanno fatto perdere il treno in partenza e nessun capostazione illuminato ha fermato il traffico fino ad attendere i passeggeri del convoglio in arrivo.
Dunque il caso italiano andrebbe vagliato con la copertura e la puntualità in cui purtroppo il nostro paese zoppica. Intendiamoci, siam messi meglio del terzo mondo, ma non posso accettare le scuse “orografia complessa” perché non mi spiegherei la Svizzera, “siamo in troppi” perché non mi spiegherei la Germania, “troppa burocrazia” perché non mi spiegherei l’Alto Adige. Forse anche quando mancano treni o sono in ritardo inaccettabile potremmo allora davvero unirci come lucciole, granchietti e pinguini e difenderci dal predatore di turno. Si chiama potere di acquisto ed è uno dei messaggi che leggo volentieri nello spot belga.

Superman intervistato, il merito è tutto del figlio

Ho avuto modo di intervistare Nico Valsesia. 
Se vi chiedeste chi fosse, è l’atleta che ha portato l’Italia sul podio della Race Across America RAAM 2014. Il 43enne era già diventato famoso nel giro degli atleti outdoor per aver raccontato alle telecamere di Fazio l’impresa della pedalata record tra Genova e il Monte Bianco, ma il ragazzo si era già misurato in corse tra deserti e montagne al limite del possibile.

Nico incoraggiato dal figlio Santiago

La sua ultima impresa è stata appunto la coast to coast USA dal Pacifico all’Atlantico. Se la trasponessimo in misure europee, è come se avesse pedalato da Gibilterra a Mosca con in mezzo un dislivello di quattro volte il Monte Bianco. Il tutto a un ritmo continuato con solo un’ora e mezzo di sonno al giorno durante l’unica sosta lunga (si fa per dire) quotidiana. Anche se me lo avevano anticipato come un personaggio molto alla mano, la sensazione di essere di fronte a superman c’era. E superman questa volta si era portato il figlio ed era intenzionatissimo a non sfigurare. Da qui la tentazione di fargli qualche domanda.

1- Nico, cosa aggiunge questa impresa al tuo già ragguardevole repertorio?

Innanzitutto gioia immensa per essere stato seguito e supportato dal mio primo figlio Santiago: il motivo principale che mi ha dato la forza di tornare alla Race Across America e soprattutto la sicurezza mentale di non ritirarmi per nessun motivo al mondo, poiché sarebbe stato un pessimo esempio per lui. Vederlo gioire lungo la strada facendomi il tifo era uno spettacolo!
E poi anche i rapporti umani con i componenti del mio team, che hanno confermato ancora una volta grandi amicizie e consolidato altre.
Comunque posso dire serenamente che questa quinta edizione sarà anche l’ultima. Se la RAAM fosse un essere umano a questo punto potrei abbracciarla: io e lei abbiamo fatto pace… ma non so ancora se un giorno mi mancherà oppure no!

2- Nico Valsesia se non fosse Nico Valsesia chi sarebbe?

Vorrei essere un sacco di altre cose: se non lo sono comunque è solo colpa mia… ma per questa vita mi accontento di essere me stesso 

3- La celebrità è indispensabile per gli sponsor o ne faresti volentieri a meno?

Per mia fortuna non sono un professionista ma un semplice amatore: chi mi supporta mi ha sempre fatto capire che lo fa per passione più che per promuovere il proprio brand: questo fa sì che su di me non ci sia nessuna pressione, ed è bellissimo poter fare ciò che ti piace… nel modo in cui ti piace!


4- Nico Valsesia spieghi Nico Valsesia all’uomo della strada…..(fisicamente un po’ sovrappeso e finanziariamente con una certa preoccupazione di arrivare a fine mese senza vendersi un rene)

Non mi permetterei mai di sovrappormi alla parola di chi deve spiegare a me chi è: di chi, non tanto per il sovrappeso, quanto perché ha difficoltà ad arrivare a fine me, ha molte più cose da dire. Starei io ad ascoltare lui, vergognandomi di quanto sono fortunato!


5- Come scegli un’impresa e come ti prepari cerebralmente? 

Semplice: mi viene in mente qualcosa che mi piace o che mi diverte e cerco di esaudire i miei sogni. Più che le letture, a stimolarmi può essere un semplice oggetto, tipo una scarpa da running; solo guardandola intensamente mi suscita il pensiero di dove potrebbe portarmi, su quale montagna o in chissà quale deserto…

6- Quando i tuoi figli ti chiederanno “perchè papà?”, cosa gli risponderai?

Non lo hanno ancora fatto e sono sicuro non lo faranno mai: li reputo molto intelligenti!! (probabilmente: contrariamente al giornalista che gli ha appena fatto la domanda, ndr)

7- Agli occhi di qualcuno fai imprese titaniche usando solo il corpo che ti è stato dato o quasi: lo useresti anche per un semplice, anonimo, intimo pellegrinaggio?

Le imprese titaniche sono ben altre! Senza andare lontani, basti pensare all’uomo della strada di cui parlavamo poco fa. Per quanto mi riguarda, ogni giorno è un anonimo pellegrinaggio; anche se, nel mio caso, pellegrinaggio mi sembra un termine improprio: non ho fatto nessun voto e non devo scontare alcuna pena. Lo faccio perché amo farlo, perché mi sento vivo e continuerei a farlo all’infinito. I miei figli lo hanno capito. Per questo, come dicevo, non mi chiederanno mai il perché di ciò che faccio.

8- Una domanda alla tua ufficio stampa: ma lui è sempre così?

Incredibilmente sì: un concentrato assoluto di energia, sincerità, allegria e determinazione, in qualunque situazione e circostanza. All’inizio mi era venuto il dubbio che arrivasse da un altro pianeta. Invece – mi garantiscono – è un “normale” terrestre. Sarà…


I NUMERI DELLA RAAM (così non potevate dire che non eravate stati avvisati se vi doveste iscrivere)

– Distanza totale: oltre 3.000 miglia (4.800 chilometri)
– Partenza: Oceanside (CA); 10 giugno 2014
– Percorso: da Oceanside (California) ad Annapolis (Maryland), per un totale di 12 stati attraversati
– Altitudine minima raggiunta: 52 metri sotto il livello del mare
– Altitudine massima raggiunta: 3.050 metri slm
– Il totale del dislivello positivo del percorso è di oltre 35.600 metri ( tre volte l’altitudine di volo degli aerei di linea e a oltre quattro volte l’altezza del Monte Everest)
– Sono circa 350 in tutto il mondo i Solo Racer che hanno ufficialmente portato a termine la RAAM guadagnandosi il titolo di “RAAM Finisher”
– la prima RAAM si è corsa nel 1984, dal Santa Monica Pier di Los Angeles all’Empire State Building a New York City
– quella del 2014 è stata la 33a edizione, e la 10a con partenza da Oceanside

Questo articolo è pubblicato anche dall’Huffington Post con la photogallery ufficiale.