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Sono tornati i prati dopo il sangue della guerra

 

In occasione della ricorrenza della prima guerra mondiale, ho deciso di non perdermi i due film italiani della stagione dedicati all’argomento. Confesso di essere andato alle anteprime con l’occhio un po’ critico del documentarista e con l’aggravante del forte interesse per l’argomento. Torneranno i prati di Ermanno Olmi e Fango e gloria di Leonardo Tiberi mi hanno a loro modo coinvolto. Il forte denominatore comune delle atmosfere rese non si stempera nella forza evocativa delle due pellicole.

Olmi trasporta con la bella fotografia nei silenzi della montagna. C’è molto Deserto dei tartari di Buzzati nella storia di una notte interamente ambientata in una trincea sospesa nel paesaggio argentato dalla luna. Quando la quiete è interrotta da un pesantissimo bombardamento, la pace della montagna sprofonda irrimediabilmente nel dosso dove il sogno di un soldato mostra un larice diventare d’oro e poi bruciare con le vite di molti militi. Manca una storia, ma forse Olmi voleva esattamente questo per intrecciare il non-senso di una guerra che porta in contatto gli uomini senza venire a capo di nulla. Qualche lacuna sui dialoghi è compensata da particolari struggenti come il soldato che bacia il tozzo di pane, l’uomo che canta sulla cima del dosso e la marcia del plotone in ritirata nella neve. Massimo rispetto per il maestro che ha seguito tutte le riprese sfidando il gelo sul set e che chiude con la citazione del padre.

Tiberi la storia invece ce l’ha e la racconta in modo originale. Narrazione in prima persona, intercalarsi frequente di immagini d’epoca colorate allo scopo di avvicinare il pubblico, passaggi intensi dalla zona di fronte a quella delle retrovie dove l’attesa di una notizia dei propri cari era forse ancora più pesante che l’attacco imminente dalla trincea.

Se per il maestro Olmi era abbastanza scontato il traguardo della produzione grazie al suo nome, a Tiberi non si prospettava vita facile. Anche grazie al Banco Desio, è comunque riuscito a creare qualcosa che si avvicina all’esperimento (riuscito) del documentario rafforzato da una linea di fiction. O, se preferite, il viceversa di una storia arricchita dal valore documentario che racconta anche la storia del Milite ignoto. A ognuno la scelta. Ogni occasione è buona per ricordare e il cinema riesce qui a svolgere il suo ottimo servizio, convinto più che mai che andrebbe portato sempre più spesso anche nelle scuole per raccontare con poche immagini quel che tante parole spesso non rendono. Nell’era virtuale, la memoria passa ancora da qui.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Villa romana festeggiata col cemento

Una scoperta archeologica porte cementificazione e abuso alle porte di Roma.

Se non conoscete Marco Valerio Messala Corvino non preoccupatevi, non lo avevo mai sentito nominare neppure io finché non ho letto le dichiarazioni dell’archeologa Aurelia Lupi, quella Aurelia Lupi il cui lavoro fece notizia in giro per il mondo allorché, in un grande spazio verde della campagna tra Roma e Ciampino, vennero portate alla luce sette meravigliose statue di Età augustea. La sua dichiarazione fu perentoria.

Una di quelle scoperte che capita una sola volta nella vita di un archeologo

Ecco, se ora vi passasse per la testa un ragionamento tipo “Fico! Posso aspettarmi la valorizzazione del luogo dove un console romano si circondò di bellezza e magari ospitò i poeti della sua epoca” sappiate che siamo fuori strada. Per quegli illusi – scrivente compreso – che immaginavano tramontato definitivamente il periodo in cui urbanisti compiacenti assecondavano la briosa attività dei signori del mattone, non c’è speranza. Comincio davvero a pensare che tutte le ricchezze che abbiamo non ce le meritiamo. È evidente che in questo momento non possiamo permetterci cantieri di restauro ovunque e a qualcosa dovremo rinunciare, ma da lì a dare il semaforo verde all’edilizia d’assalto ne passa.

Soluzioni possibili? Vincolare l’area. Pare fosse stato fatto, ma poi sono state allentate le restrizioni. Oppure cercare il mecenate oltre confine e proporgli un’operazione di sponsorizzazione. Volete che nessun russo, cinese o indiano accetti di farsi bello nel dire a casa o nel suo club di aver adottato un’opera inestimabile nella bellissima Italia? Sì, perché sia chiaro che, nonostante tutti i nostri sforzi nel ‘bruciarci’ luoghi o occasioni, continuiamo ad essere invidiati. Parlandone, qualcuno mi ha obiettato che una operazione del genere sarebbe volgare e non controllabile. Sono abbastanza convinto che la vera volgarità stia nella bruttezza delle palazzine. Mentre per la controllabilità penso a quanti archeologi, magari neolaureati, farebbero a gomitate per assumersi l’onere e il relativo stipendio, con la certezza che nessun oligarca si farebbe problemi a vedersi aumentata la spesa perché lo Stato italiano, assieme al bene, gli affida anche un vigilante appassionato.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Le sentinelle che sono un danno al Pil

Le “sentinelle in piedi” (che poi, avete mai visto una sentinella seduta?) sono un danno, e non parlo per la comunità gay e i diritti negati. Il sistema ‘Italia dei diritti calpestati’ sta facendo il giro del mondo. La tournée  questa volta tocca a un atto della Procura di Perugia.

Ma andiamo con ordine. Il fatto: le “sentinelle in piedi” attuano la loro protesta in una piazza del capoluogo umbro e una coppia, oggi sposata a Londra, non si fa problemi a baciarsi tra i manifestanti. Il problema è che la coppia è composta da due uomini e la Procura apre un’inchiesta che approda anche in parlamento. Dunque, ben prima che il nostro illuminato Angelino Alfano emanasse il suo editto omofobico, un ufficio della Repubblica  dedica tempo e risorse a una indagine in cui si ravvede il nulla, probabilmente impegnando agenti preziosi su una stupidata mentre rimangono irrisolti casi ben più importanti per la giustizia italiana. Ammettiamolo, invertendo le parti, se qualcuno avesse recitato preghiere in un gay pride, probabilmente sarebbe passato inosservato. E vi prego di notare che anche noi gay preghiamo come, forse, anche le sentinelle si baciano tra individui dello stesso sesso. Ma veniamo al punto. La notizia ora sta girando il mondo, facendo passare il mio paese per un covo di retrogradi. Probabilmente ora ci vedono così in Canada, nel Regno Unito, in Sud America, in Svezia, in Spagna, e un po’ in tutta la comunità internazionale

Non mi va bene. Non dovrebbe andare bene neppure a chi ha a cuore la faccia italiana. Buttiamola sull’economico: non dovrebbe andar bene neppure agli operatori del turismo che assistono alla lesione dell’immagine del Bel Paese di fronte a una delle comunità di viaggiatori più ricche, proprio in momenti come questo dove ogni turista è manna sul nostro Pil. Se qualcuno cominciasse a denunciare sentinelle e Alfani di turno per danni, penserei che sarebbe solo un atto dovuto.

La casa del futuro passa dalle Canarie

Alle Canarie c’è un luogo dove ecologia, vacanza e ricerca si fondono in una realtà che non ha uguali al mondo. Non è un’affermazione da depliant pubblicitario. La storia: qualche anno fa il Cabildo Insular di Tenerife (il governo locale) decide di bandire un concorso per la casa ecologica ideale. Partecipano 400 studi e i 24 progetti finalisti sono effettivamente realizzati in una conca rocciosa nella porzione meridionale dell’isola. Se inizialmente si pensa di mettere le case a disposizione del personale del vicino Istituto Tecnologico di Energia Rinnovabile (ITER), col tempo alcune delle residenze vengono aperte al pubblico e la gente, principalmente dal nord Europa, inizia a scegliere questo villaggio per trascorrerci le vacanze.  

Casas iter di TenerifeNon è un ambiente che capita di vedere spesso, immaginate la prateria costiera come una conca di origine vulcanica, circondata da generatori eolici e affacciata sulla deliziosa spiaggetta di sabbia a ridosso della Riserva naturale della Montaña Pelada. Soprattutto immaginate di vedere, sparse qua e là nella vegetazione, 24 costruzioni completamente diverse tra loro a condividere l’ispirazione bioclimatica del loro progetto. A ognuno dei tecnici era stato richiesto infatti di adattare la casa al principio per cui terreno, agenti atmosferici, orientamento della costruzione, vegetazione e materiali concorressero al miglior comfort termico senza intervento di energia esterna. Al consumo di energia per luce ed elettrodomestici si è provveduto attingendo a due risorse di cui le Canarie abbondano, sole e vento. Casa iter di Tenerife

I progetti sono molto originali e per conformazione e distribuzione degli spazi è un po’ come essere in un museo a cielo aperto. Nella casa che mi ha ospitato, la Bernuolli, avevo a disposizione due piani circondati da un portico che mitigava la calura esterna, con i soffitti realizzati in modo da sfruttare i moti convettivi naturali per avere una temperatura ideale, che potevo monitorare e modificare dal televisore. Miren, che mi ha accompagnato a scoprire le altre case, mi ha spiegato che ogni edificio ha delle peculiarità.

A Tenerife esistono decine di microclimi diversi e nel villaggio ITER non c’è la “casa perfetta” in assoluto. Non è detto che l’edificio particolarmente efficiente qui al livello del mare lo sia anche 1000 metri più sopra. Noi abbiamo finanziato queste costruzioni per dimostrare che alle diverse condizioni climatiche si possono adattare altrettante soluzioni architettoniche perseguendo il risultato delle zero emissioni di CO2 per la climatizzazione degli edifici.


Tenuto conto che Tenerife è estesa come un quarto della Corsica e, con una variazione altimetrica di oltre 3700 metri, è praticamente un vulcano in mezzo al mare, ci hanno appena detto che i progetti delle case ITER sono applicabili a buona parte del pianeta. Le pendici del Teide, il cratere più alto dell’isola che è anche il punto più elevato di Spagna, riescono effettivamente a offrire una varietà di climi che spaziano dal deserto alle spiagge, passando per le foreste di conifere, le vigne, i cunicoli sotterranei scavati dai fiumi di lava. Tutte queste realtà sono visitabili concedendo al viaggiatore la sensazione di essere su un piccolo continente. Perfino l’escursione nel vulcano  riesce a dare suggestioni “marziane”, il test del Rover NASA che sta girando sul pianeta rosso è stato fatto proprio qui. Personalmente, ammetto che essere a Tenerife è un po’ come atterrare in un racconto di fantascienza. Non mi sento attratto alle grandi spiagge del sud, più affini ai ‘turistifici’ di massa, ma posso garantire a chiunque volesse approdare qui e starci una settimana che vivrebbe sette giorni ognuno diverso dagli altri. Per visitare tutta l’isola disponendo di pochi giorni, il mezzo ideale è l’auto, noleggiabile in molti dei centri abitati. Gli autobus di linea sarebbero più ecologici ma servirebbe più tempo. 

Se il villaggio ITER è una opportunità per aggiungere qualcosa di diverso alla vacanza, c’è anche un’altra sorpresa. Gli edifici sparsi nella brughiera dove lo sciabordio delle onde si mescola con il fruscio delle pale dei generatori eolici, hanno quotazioni molto interessanti. La Casa Estrella, una stella in pietra lavica con una grande cucina e 4 stanze protette dagli arbusti di rosmarino, ospita sei persone da 180 euro al giorno. Ci hanno sempre abituato che per il “bio” e “l’eco” dovevamo pagare un po’ di più, ma non  bastassero vulcani, foreste secolari e ottimi vini,  la Tenerife che ho vissuto riesce a stupire anche in questo.

Aggiungo 4 eco raccomandazioni per vivere una Tenerife che non tutti conoscono. Non perdetevi una camminata nel Parco nazionale del Teide, fatevi accompagnare ad ascoltare il silenzio nei canali sotterranei formati dalla lava alla Cueva del Viento, rendete omaggio all’albero monumentale El Drago, perdetevi in un trek urbano tra i vicoli cinquecenteschi dell’antica capitale La Laguna. Alla fine dell’esperienza potreste scoprire che in mezzo all’oceano si sta davvero bene.

La bicicletta che non va a petrolio

Il decreto Sblocca Italia di Renzi non piace a Legambiente, Greenpeace e Wwf Italia. Difficile dare torto alle posizioni degli ambientalisti: uscire dal pantano non deve significare prendere il largo in un mare di petrolio. Il fronte anti-trivelle ha appena lasciato il sit-in davanti a Montecitorio dove ha manifestato contro gli orientamenti filopetroliferi dell’esecutivo, ma era solo una delle tappe del programma di mobilitazione nei punti bollenti del nostro Paese.
 
Il punto in questione è l’articolo 38, che favorisce la nuova colonizzazione del nostro territorio e dei nostri mari da parte dell’industria petrolifera, invece di difendere l’interesse pubblico e uno sviluppo economico sostenibile. Le associazioni ambientaliste pensano che le norme in questione sono parte di una strategia delMinistero dello Sviluppo economico che tende a favorire gli interessi dei petrolieri.
Signor Presidente, le smentisca! È stato davvero un piacere vederla in bicicletta durante le campagne elettorali. La prego di tornarci su quella bici, a me pedalare aiuta a schiarire i pensieri, magari anche a Lei. Magari potrebbe poi trovare idee per creare posti di lavoro e spunti di rilancio nello sviluppo delle rinnovabili. Visto i sorrisi che vi scambiate, chieda ad Angela (Merkel) come è andata da loro. Lei si sente forte del sostegno ricevuto con le elezioni. Si ricordi quanto l’hanno aiutata le bici e pensi al successo ulteriore che avrebbe un presidente giovane che scommette su un futuro fatto di vento e sole e non su quell’asfalto che ci ha infilato dritti nel pantano.
Divertono abbastanza tutte le foto in rete di lei in bici, ne faccia una campagna chiara: “No oil!”. 
Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Social Street, che bello salutarsi in città

Social Street compie un anno e a Bologna, Milano, reggio Calabria e Palermo, solo cper citare alcune città è tempo di bilanci. L’occasione dell’internet festival di Pisa è il momento per ascoltare come il fenomeno si sia diffuso dalle sue origini fino ad arrivare ad essere un fenomeno di ecologia urbana. Social Street è innazittutto un social di ritorno. Per chi crede che facebook sia l’anticamera della solitudine, Social Street è la smentita. Ci si incontra su fb, ma poi ci si vede anche perchè ci si scopre vicini. Milano è la seconda città per Social Street dopo Bologna, l’ultima aggiunta è Reggio Calabria, ma nella lista ci sono anche piccoli paesi a conferma che non c’è più distinzione tra grande città e centro minore. A Palermo diventa l’occasione per rompere schemi consolidati.
Forse c’è una Social Street anche vicino a te
La forza delle Social Street è quella di nascere dal basso, non c’è competizione tra le vie ma grandissima libertà e socialitá a costo zero. Si aiutano a recuperare beni, si trasforma un parcheggio abusivo in area pedonale, si fa in modo che perfino l’amministrazione si rende conto del vivere comune senza esprimere una direzione. Pierluigi, ricercatore chimico in pensione della storica via Fondazza bolognese da cui è partita la scintilla, racconta della signora che da Trieste esprime il desiderio di tornare nella sua Bologna e i cittadini si attivano per aiutarla a trovare casa.
Qualcuno chiede, qualcuno offre, senza regolazioni economiche, solo il sapere che ci sia qualcuno che magari ti nutre il gatto se sei via è un aiuto. Non servono milioni di investimento ma un sistema protetto dove non ci sono amministrazioni o movimenti politici a cui rendere conto. E’ dunque l’affermazione che la città appartiene ai cittadini e non alla pubblica amministrazione. L’obbiettivo primario è creare socialità e se fallisce questo non è più Social Street. Poi possono esserci altri obbiettivi secondari come organizzare mostre, eventi, recuperi, ma non vogliamo perdere la concentrazione sulla socialità
Un fenomeno di questo tipo è molto simile al vecchio sistema che nei paesi era vicino all’assistenza sociale, quella positiva che non solo vigilava ma era anche un aiuto a vivere. Ed è curioso che proprio ora, nell’era dei social virtuali, ci sia un ritorno. Federico Bastiani, ideatore di Social Street, spiega la ragione dell’interesse dei sociologi al fenomeno.
Nell’implementare Social street volutamente non abbiamo creato una struttura che stabilisse regole ferree, non abbiamo registrato loghi, non abbiamo sposato i classici meccanismi che guidano la nostra economia basati sul do ut des, abbiamo tenuto fuori l’economia e la politica per preservare l’obiettivo originale del progetto, ricostruire la socialità nelle città, a costo zero. Un messaggio semplice dal forte impatto sociale, la potenza del saluto, di un abbraccio fra vicini di casa, la potenza del dono… non sono misurabili in un “bilancio” perché sono relazioni, sono capitale sociale impagabile. Da questa “banalità” del messaggio sta scaturendo un’energia ed una forza che a detta dei sociologici, non ha precedenti e per questo siamo oggetto di studio. Non è un caso che attualmente abbiamo diciotto tesi di laurea differenti che studiano il modello Social street fra sociologici, antropologi, psicologi della comunità, economisti.
Sembra insomma un progetto che di positivo non ha solo il fatto che forse si ritrova l’interesse a sapere cosa puoi fare per il tuo vicino, ma anche l’idea che si crei una responsabilità comune. La strada dove abito è anche mia, se tengo in ordine la casa dove abito, perché non dovrei fare altrettanto con l’ambiente fuori della porta? Vale per la pulizia, l’ordine, la cortesia tra le persone. Chiamateli pure sognatori, se vi va, ma nella vita alcuni sogni, se ci si crede fortemente, sono raggiungibili.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

C’è una bomba innescata sull’Italia

Il disastro del Vajont coi suoi morti potrebbe ripetersi. Su altra scala e in altri luoghi, ma potrebbe ripetersi. Il 9 ottobre del 1963 un pezzo di montagna crollava in un invaso dopo che le acque dello stesso invaso ne avevano rosicchiato le fondamenta. L’onda provocata travolse tutto e tutti quelli che incontrò nella sua corsa verso il fondovalle. E’ stata la cronaca di un disastro annunciato perché tutte le evidenti avvisaglie erano state ignorate. Quanti Vajont rischiamo?
Nella ricorrenza della tragedia, lo stato italiano commemora oggi le vittime dei disastri ambientali. Il governo sta lavorando attraverso ‘Italia sicura’ al collocamento dei fondi (quasi 10 miliardi di Euro) sulle aree a rischio. Scorrendo il comunicato si assiste all’appello delle ultime frane, esondazioni, dissesti che hanno toccato la penisola. Tirassimo una linea sull’ultimo secolo, sarebbe circa 12000 il totale delle vittime provocate dalle frane, un dato che non stupisce neanche troppo in una nazione dove 4 comuni su 5 hanno almeno un’area a rischio. Con la tropicalizzazione crescente del clima nazionale è come se fossimo seduti su una bomba ad orologeria. Niente esplosivo ma terra e acqua improvvise e in quantità micidiali.
La data anticipa di 4 giorni la ricorrenza scelta dall’ONU per ricordare i disastri.Oxfam.org stima in 500 miliardi di dollari (un quarto del PIL italiano) il danno delle catastrofi mondiali legate ai cambiamenti climatici. La cifra è solo un contatore asettico se lo scorrere delle lancette non segnasse la fine di vite umane legata al dissesto globale. E come spiega il direttore esecutivo di Oxfam International Winnie Byanyima:
I leader mondiali si stanno comportando come se avessimo ancora tempo per giocare, ma in realtà stanno giocando con la vita delle persone. Il cambiamento climatico sta producendo i suoi effetti ora, distrugge tantissime vite e affama sempre più persone nel mondo. I costi stanno aumentando e il ritardo potrà solo peggiorare la situazione.
Nel caso italiano e nel caso planetario, dunque, il fattore tempo è determinante. Tutti sembrano concordi nel non porsi più la domanda ‘se succederà’ ma ‘quando succederà’. Forse è il segnale che, spero, metterà chi è nella stanza dei bottoni, e dei portafogli, nelle condizioni di fare in fretta. Se la montagna che hai sopra la testa inizia a scricchiolare, è già troppo tardi.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Il macellaio e la mascotte

Pensate a un delfino e immaginatelo sorridente a rispondere al suo nome, Goccia. Il delfino era la Mascotte di Golfo Aranci e si era accattivato la simpatia di tutti. Si avvicinava alle barche e giocava e prendeva il cibo e sorrideva. é rimasto impigliato in una rete e qualcuno non ha avuto pietà. Anziché liberarlo, il risultato lo vedete qui sotto.
Il macellaio che lo ha spolpato non ha ancora un nome ma spero che arrivino a individuarlo, ma non quelli della magistratura. Non subito almeno, prima ci vorrebbe qualcuno un po’ meno politically correct perché non si può arrivare a questo punto. Chi è in grado di fare questo, è in grado tranquillamente di fare tutto il male possibile. Quindi va fermato.

Ciao Goccia…

Il buon dormire parte dal momento prima del sonno

Dormire bene per essere produttivi non basta. Qualcosa può essere fatto prima di abbandonarsi alle braccia di Morfeo. Condivido quanto letto sull’ Huff Post.



Leggere per un’ora
È Bill Gates a consigliarvelo. Leggere tutti i giorni aiuta a ridurre lo stress e migliora la memoria. Uno studio dell’Università di Essex del 2008 ha provato che leggere anche solo 6 minuti al giorno riduce lo stress del 68%. Inoltre la lettura è un’ottima palestra per la mente e aiuta a rallentare l’invecchiamento.

Unplug
Arianna Huffington è la prima promotrice dell'”unplugging”: staccare dalla tecnologia, almeno a una certa ora della giornata. Lei stessa dice di lasciare il telefono in un’altra stanza, prima di coricarsi. 
Il parere di Charles Czeisler, professore di medicina del sonno ad Harvard, è che la luce dello schermo disturba il ritmo naturale del sonno e “illude” il corpo che sia giorno. Il risultato è che il cervello non produce alcune sostanze chimiche necessarie ad ottenere un sonno tranquillo.

Organizzare il giorno dopo
Il consiglio del CEO di American Express è di scrivere una lista delle tre cose da fare il giorno dopo, ogni sera prima di dormire. Così facendo, il percorso mattutino è già incanalato e i pensieri si organizzano più velocemente.

Sprigionare la creatività
Questo consiglio è di Vera Wang, che nel 2006 ha dichiarato che proprio la sera prima di dormire per lei viene il momento di “creare, se non materialmente almeno concettuale”. 
A maggior ragione se faticate a svegliarvi, la mattina, concentrare la vostra creatività nei momenti serali potrebbe essere una buona idea.

Meditare
L’efficacia della meditazione è spesso messa in discussione, ma uno studio del 2014condotto su un campione di 19000 casi ha dimostrato che meditare prima di andare a dormire è molto efficace nella cura di stress, ansia, depressione e dolore.

Farsi una passeggiata
Questo consiglio arriva dal CEO di Buffer, che ha l’abitudine di fare una passeggiata di qualche minuto ogni sera prima di dormire. 
Da uno studio americano risulta che camminare permette alla mente di lasciarsi andare ai pensieri, favorendo la creatività.

In mongolfiera tra i profumi del sughero

Cosa c’entra Carlo Cracco con un albero di sughero? Immaginiamo di sorvolare un bosco, ma in modo silenzioso, diciamo con una mongolfiera. Galleggiando nell’alba pigra, le chiome degli alberi sono bolle di foglie sulla creta. Lui lo intravedete lì sotto, sdraiato a contemplare. Per un po’ non è più neanche il cattivone di Master Chef. Torna il ragazzo perfetto che sogni ai fornelli.
Queste isole verdi che lo circondano sono esseri viventi e producono. Un materiale che sembra uscito da un manuale di perfetta sostenibilità. Ogni dieci anni donano la loro corteccia all’uomo che la usa per farne un uso coscienzioso e responsabile. Col sughero ci tappi le bottiglie del miglior vino – parola di Cracco, appunto – ma col sughero ci fai anche le scarpe per camminare comodo, i pavimenti per abbellire la casa, gli edifici per risparmiare energia, fino all’abbigliamento, all’accessorio, all’articolo sportivo.
 
Così dal cesto della mongolfiera vedi il bosco e gli uomini che ci lavorano ma immagini cosa quel bosco e quegli uomini possono fare per una esistenza sostenibile. La campagna a nord di Lisbona è così. Un grande polmone verde con l’industria che ci ruota attorno. La sostenibilità passa anche da qui, ma non solo. È l’industria stessa che protegge il bosco perché da lì esce la sua materia prima. Se poi pensi che questa materia prima diventa monumentale in giro per il mondo, allora ti vengono un po’ i brividi.

Se credete che stia esagerando, vi capisco. Lo pensavo pure io ascoltando la prima volta le meraviglie del sughero. Conserva ottimamente e in modo naturale le migliori bottiglie, ma nelle mani delle archistar diventa l’incredibile. Herzog e De Mauron ci vedono un luogo di incontro, Siza Vieira una cantina vinicola, Kengo Zouma un museo, Jordi Armengol il pavimento della Sagrada Familla, Carlos Couto il padiglione portoghese all’Expo2010 di Shanghai, il collettivo Fat London una idea originale per un abbinamento inconsueto tra stile e design. In più ha doti di isolamento, ottimizzazione energetica e riciclabilità eccezionali.

Lo ammetto, da quanto ho visitato le sugherete del Portogallo e del nord della Sardegna, ogni volta che stappo una bottiglia mi tengo il tappo. Mi piace accarezzarlo, sentirne i profumi, immaginare che sia perfettamente riciclabile senza processi costosissimi, sognare che potrebbe essere una casa, una chiesa o un teatro. Allora torno sulla mongolfiera e rivedo il bosco, convinto che se gli alberi hanno un valore, il sughero è davvero un tesoro.
 
Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.