Archivi categoria: Terra degli Orsi

Shell, Gazprom e la combricola dell’Artico

La Shell si è vista chiudere gli spiragli dello sfruttamento petrolifero dell’Artico occidentale, controllato da USA e Canada, e ora cerca nuove prospettive in Russia con Gazprom.

La preoccupazione è più che motivata per la fama di Shell che si propone la massimizzazione dei profitti ma ancora di più per il coinvolgimento della compagnia russa gestita con criteri non sempre cristallini.

La domanda lecita potrebbe essere: meglio far fare l’accordo a Shell chiedendo un controllo delle attività con ispettori neutrali affidabili o lasciare che Gazprom si abbandoni a qualche partner ancora più filibustiere del suo stesso management? GreenPeace, intanto, ha lanciato una campagna. Sarà un po’ più dura delle altre volte, perché la compagnia russa ha un esercito privato che detta legge in luoghi dove nessuno sente urlare e, nel caso, si tappa le orecchie.

Le mummie in paese

La Val Nerina é uno dei luoghi più suggestivi dell’Appennino.
Ferentillo, tra Terni e Cascia, era sede della dogana pontificia e ospita sotto la chiesa di Santo Stefano un cimitero molto particolare. La combinazione unica tra il terreno calcareo e il ricambio d’aria ha innescato un processo di mummificazione naturale dei corpi. Quando i frati cappuccini della vicina abbazia iniziarono a riesumarli per motivi di studio, la popolazione locale cominció ad attribuire ad ogni ospite del cimitero una storia.
La cripta é visitabile tutti i giorni ma, a detta della custode, sono pochissimi gli italiani a conoscere questa storia.

3 minuti in pausa pranzo: appoggiati su una nube

Adrift è un cortometraggio di Simon Christen composto da una successione di time lapse. Ormai la tecnica è quasi abusata, ma quel che mi piace del filmaker californiano è che ha scelto di dare vita e voce alle nubi, rivelando così anche il suo passato di animatore alla Pixar.

Della sua opera precedente, Unseen sea, si era già parlato parecchio e il nuovo lavoro lascia delle sensazioni forti a uno cresciuto, come chi scrive, in Val Padana. Nebbie e nubi sono di casa anche da noi, sognando la California di Simon.

Il più grande museo italiano è invisibile

Il più grande museo italiano è sotto il livello del mare. A dichiararlo è l’archeologo Michele Stefanile.

Il suo invito è di non dimenticare che con maschera, pinne e bombole, senza dimenticare il necessario brevetto e l’assistenza di una guida, si può assistere a uno spettacolo senza precedenti ma soprattutto senza code o allestimenti che sfalsano gli oggetti da ammirare. In Italia è rinomato il Parco Archeologico Sommerso di Baia.

In molte parti del mondo l’archeologia subacquea è anche un business. In Italia sembra che andiamo a rilento. Peccato, perché aiuterebbe a risolvere in un colpo solo il problema della salvaguardia e dell’occupazione, con un indotto che alla lunga potrebbe perfino generare flussi interessanti.

Arriva la prova costume, sei pronto?

Tranquillizzati, non parlo del tuo girovita ma della qualità del costume che quest’anno indosserai andando al mare.

Premesso che il costume migliore è la pelle e sarebbe bello poter fare a meno di involucri, ci sono due elementi da tener presente se si parla di costumi da bagno:
>possono essere realizzati con le peggiori sostanze per l’ambiente perché devono resistere alla salsedine, alle sollecitazioni meccaniche e alle temperature,
>per la ragione di cui sopra sarebbe utile non tenerli a stretto contatto col nostro corpo.

Perché il costume è così pericoloso? Ci hanno sempre fatto credere che la dannosità del costume è l’indossarlo bagnato, ma il vero danno è quello che può essere indotto da allergie e intolleranze alle materie prime con cui è confezionato. Secondo l’American Academy of Allergy, almeno il 3% della popolazione sarebbe allergico ai materiali alla base della produzione, che causerebbero irritazioni, pruriti e, nei casi peggiori, lesioni. La maggior parte dei costumi sono composti infatti da sostanze elasticizzate di origine petrolchimica il cui processo prevede l’immissione in atmosfera di ossido di nitrato, gas responsabile dell’effetto serra 310 volte più pericoloso dell’anidride carbonica. Considerate poi che le sostanze elastiche non sono biodegradabili e richiedono enormi quantità d’acqua per essere prodotte. Praticamente, ogni volta che indossiamo un costume da bagno è come se calzassimo una bomba ecologica sulla pelle.

Nota bene: per l’effetto della sudorazione sull’epidermide, le conseguenze diventano ancora più devastanti se il costume lo si indossa in sauna o bagno turco. Eppure faccio notare che, in certi centri benessere italiani, è vietato togliersi il costume e chi scrive è stato addirittura allontanato dalle terme di Pre St. Didier (Ao) perché due bigotte erano disturbate dalla mia salvietta attorno alla vita senza costume.

La soluzione potrebbe essere quella dei costumi realizzati con fibre naturali o quelli che in qualche modo certificano la provenienza controllata delle materie prime.

Una seconda soluzione, sarebbe quella di cominciare a prendere in considerazione l’idea del bagno come-mamma-ci-ha-fatti. Diffusissime all’estero, le spiagge naturiste o nudiste stanno prendendo sempre più piede.
La mia visione è ancora più personale. Alle spiagge preferisco le scogliere o i torrenti di montagna, dove spesso, con la mia compagnia, sono praticamente l’unico ospite di quel pezzo di Terra. Senza bigotte intorno mi tuffo più contento e il pianeta ringrazia.

Il Rinoceronte è andato, per sempre

Circola in rete la notizia che è appena stato dichiarato estinto il rinoceronte nero  occidentale. Purtroppo è vero a metà, cioè è estinto ma la dichiarazione ufficiale risale al 2011. Non ne faccio una questione di data. La parte negativa del messaggio è che ci siamo giocati definitivamente il rinoceronte nero. Potremmo pensare: «ma con tutti i problemi che abbiamo, qualcuno sta a parlarmi di un animale dell’Africa che probabilmente non avrei mai incontrato?». Sì.

Se non siamo riusciti, nonostante tutti i segnali di allarme, nel relativamente facile e circoscritto compito di salvare un animale dalla sua estinzione, significa che non solo ci è mancata la capacità, ma anche la volontà di salvare un tassello di natura. Non solo.
Perché sarebbe stato utile avere successo nel salvataggio? Perché c’è comunque stato un certo impegno della comunità internazionale, perché sarebbe stato un segnale nei confronti dei bracconieri, perché sarebbe stato portato alla ribalta l’ostacolo teso alle organizzazioni malavitose internazionali che curano il traffico dei corni di rinoceronte di cui si era già parlato qui.

Mi attacco al magro bottino di uno stimolo: rimangono ancora gruppi di rinoceronte bianco e rinoceronte asiatico al mondo. Google ha investito cinque milioni di dollari in tecnologie di sorveglianza antibracconaggio messe a disposizione di WWF ed enti di ricerca. Che sia un segnale che quella persa con il rinoceronte nero sia solo una battaglia e non la guerra? Speriamo, il dato di fatto è che, almeno ad oggi, il rinoceronte nero è andato. C’è un “almeno” in più, cioè  finché non se ne avvisterà uno, cosa che non avviene dal 2006.

Le droghe naturali che produci in palestra o correndo.

Nel praticare una disciplina sportiva spesso sfugge il confine tra droga e passione. Il praticare uno sport con moderazione e buon senso é sicuramente una prova di carattere che affonda nel volersi bene. Il confine si supera quando la pratica diventa dipendenza, e con la dipendenza si induce un effetto di “ne ho bisogno come se fosse cibo, aria o una droga”. Qui entrano in campo le endorfine e il loro effetto. Intensi momenti di esercizio provocano il rilascio di endocannabinoidi (molecole paragonabili alla cannabis normalmente presenti nel cervello) e endorfine (dalla composizione simile alla morfina).

Un dibattito divulgato dal New York Times in questi giorni si domanda allora se lo sport é un espediente per allontanarsi dalle droghe insegnando una vita più regolare, o se invece le sostituisce con altre. La psicologa Monica Williams evidenzia il rischio di portarsi al limite dello sfinimento non per perseguire il benessere ma per esorcizzare i propri demoni. La domanda che mi pongo però é: di sicuro se esorcizzo i miei demoni sto bene, e non é quindi benessere? Il dibattito é aperto e spazia dal “lo sport é dipendenza ma ne vale la pena” al “il salutismo estremo é il sogno di sconfiggere l’invecchiamento in un delirio di onnipotenza”. C’é un dibattito aperto per leggere tutte le posizioni. Intanto buon allenamento.

UNESCO. 5 nuovi siti nella lista del World Heritage

Divulgata la lista dei nuovi siti riconosciuti come patrimonio naturale dell’umanità dall’UNESCO. L’aggettivo “nuovi” fa ovviamente riferimento solo all’elenco e non certo all’età del paesaggio, tenendo conto che tra i soggetti elevati agli onori della classifica si trova l’Etna, con una anzianità all’anagrafe dei vulcani di circa 500.000 anni, ben portati a giudicare dall’attività sempre scintillante. Nella lista è ben accompagnato dalla catena montuosa cinese dello Xinjiang Tianshan, dalle dune del Pianacate nel deserto di Sonora in Messico, dal Tajik National Park in Tajikistan e dal mare di Sabbia nel Deserto della Namibia.
In tutto il pianeta le realtà naturali che si fregiano del sigillo UNESCO sono 193 e si affiancano alle 759 culturali e alle 29 miste. Se l’Italia la fa da padrona per guidare la classifica culturale, non brilla per lista dedicata alle meraviglie naturali, solo 4 con le Dolomiti (tra Alto Adige – Südtirol, Veneto e Friuli), il Monte San Giorgio (Lombardia), le Eolie (Sicilia) e la new entry Etna. Perché così poche? Perchè i criteri di ammissione nella lista sono particolarmente severi e i furbetti non sono ammessi.
Se vi state domandano quali siano i parametri, eccoli:
> contenere fenomeni naturali superlativi o di eccezionale valore
> essere testimonianze inequivocabili e notevoli degli stadi di vita del pianeta
> analogamente al punto precedente, essere notevoli anche per i processi biologici di sviluppo della vita attraverso gli ecosistemi terrestri e marini
> contenere gli habitat rilevanti del territorio, curando che la diversità biologica autoctona, comprese le eventuali specie minacciate, sia preservata.
Se potremmo difenderci sui primi tre punti, ci sgretoliamo sul quarto.
AAA: cercasi pubblico amministratore pronto a farmi contento smentendomi e iniziando a fornire candidature UNESCO di patrimoni naturali anche da noi.

Questo articolo è pubblicato anche sull’HuffingtonPost.