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Pulizie di primavera, butta fuori le schifezze che hai dentro

Non è un’affermazione da esorcista, ma solo un invito ad approfittare della primavera per iniziare una dieta disintossicante o quantomeno aiutarsi a mettere un po’ di ordine, nell’alimentazione e nei comportamenti.

La rete gronda di consigli, alcuni miracolistici che neanche Padre Pio potrebbe farvi tanto belli in così poco tempo e altri più realistici che mettono in guardia da chi promette facili risultati.
Andiam con ordine: di certo c’é che la primavera è sicuramente lo stimolo da cogliere per riprendersi da un periodo come quello invernale votato a una maggiore sedentarietà. Ma questo dipende dal calendario, non da noi. Cosa possiamo fare per assecondare l’arrivo delle bella stagione?
Qualche idea:
> movimento: perché non tirare fuori la bici o provare a rinunciare ad auto o scooter per brevi spostamenti, valgono anche le scale al posto dell’ascensore

> mangiare meglio 1: darsi una regolata nelle quantità e nei tempi, qualche parere autorevole aiuta

> mangiare meglio 2: certi alimenti (alghe, aglio, barbabietole, carciofi, coriandolo, germogli di broccolo, limone, mela, tè verde, verdura a foglia verde) aiutano parecchio, meglio se associati a un calo del consumo dei grassi e a un periodo di alimentazione leggera

> rilassarsi in ambiente naturale scalando la marcia per fermarsi ad ascoltare il mare o la pioggia cadere o i rumori del bosco. Non c’è come isolarsi dalla civiltà per riaccendere i sensi e riscoprire che siamo noi stessi parte dell’ecosistema

Mamma, si è perso Guanarito!

Guanarito si é perso. Peró Guanarito non é l’innocuo bambino sudamericano con un sorrisone illuminato da occhi di cerbiatto che il nome lascia intendere. E, soprattutto, Guanarito non si é perso in una stazione ferroviaria o nella corsia dei giocattoli del supermercato.
Guanarito é un virus letale la cui fiala é stata smarrita in un superlaboratorio militare in Texas.

Se i soldati si perdono un fucile non é grave, a chi non é successo di appoggiare in giro qualcosa e poi “puff, avevo giurato di averlo messo lì!”?. Ma Guanarito (sará mica parente del Guaraná del supermercato?) se lo metti nel posto sbagliato al momento sbagliato è capace di fare dei veri casini tipo causare febbre, emorragie sottopelle e perdite di sangue negli organi interni in quasi tutti quelli in cui incappa. Insomma é come se avessero battezzato un Godzilla qualsiasi col nome di Bambi. Solo che questo Godzilla, proveniente pare da roditori venezuelani, é piccolo, arrabbiato e si infila ovunque. Sembra poi che qualcuno in Texas abbia mormorato anche un “poteva andare peggio”, visto che negli stessi laboratori ci sono anche antrace, ebola e un sacco di altre cosucce che in questo momento storico farebbero la gioia di uno squilibrato qualsiasi (iraniano o nordcoreano è indifferente) con la voglia di giocare al piccolo chimico. Vien da augurarsi, se proprio non troveranno Guanarito, che almeno cambino le serrature della fabbrica di mostri in cui si é perso.

Weekend dove ci sono i dinosauri

Bestioni squamati dalle fauci minacciose avvistati nel Parco di Monza.

Rimarrá installata fino a settembre la mostra sui dinosauri nel grande polmone verde alle porte di Milano. L’originale allestimento è diviso in due sezioni tra Villa Mirabello e il prato a fianco all’adiacente cascina. La qualitá delle riproduzioni é elevatissima, al punto da impressionare quando l’effetto delle brume serali accentuano la suggestione di una foresta giurassica in quel della Brianza.

Notevole anche il livello delle didascalie, il cui rigore scientifico é affidato a paleontologi italiani di fama internazionale, garantito dall’autoritá di Jack Horner, statunitense esperto in materia e titolare delle più importati campagne di scavo degli ultimi tempi. Nel video, il paleontologo ci dimostra che quando ordiniamo un pollo arrosto siamo molto più vicini di quanto immaginiamo a un dinosauro.

Proprio per questo motivo, la visita é consigliata a tutti. In fondo, da Spielberg in poi, chi non ha mai immaginato dal vero questi famelici lucertoloni per cui noi saremmo solo una saporita tartina?

Se proprio devi fumare, hai pensato a rollare?

Chiariamo subito che la scelta di non fumare è quella più salutare. Però scagli la prima pietra chi se la sente di rinunciare ai propri vizi all’improvviso.

Da non fumatore, amico però di molti fumatori sempre più orientati alla sigaretta fai da te, sono stato incuriosito dal fenomeno e mi sono domandato quali vantaggi porta e soprattutto se c’è un risvolto ecologico nel fenomeno che ha visto aumentare da 400 a 600 milioni di Euro il fatturato dei prodotti di tabaccheria catalogabili come “non sigarette”.
In modo assolutamente arbitrario ho chiesto a tutti gli interessati il motivo per il quale fossero passati alla rollata abbandonando il tradizionale pacchetto, poi ho dato un’occhiata alle statistiche scoprendo che la mia indagine era attendibile.

Sulla scelta influisce principalmente il prezzo: se una sigaretta costa 20 centesimi, una rollata ne costa 9, almeno stando alle affermazioni del sito rollingtobacco, punto di riferimento dei rollatori accaniti. Poi entrano in gioco altri elementi: rollare è un piccolo rito che rilassa e mette il fumatore nelle condizioni di assaporare senza frenesia il prodotto, con l’effetto di fumare alla fine meno sigarette. La scelta del tabacco è poi un fattore di qualità che permette di conoscere meglio la provenienza della materia prima. Ne esistono alcuni di antica tradizione come quello della Repubblica di Cospaia, un’enclave produttiva nazionale attiva nel tardo ‘400 tra Toscana e Umbria, tradizione oggi ripresa dal consorzio del tabacco Natur.

In aggiunta c’è un’implicazione tutta vintage del fare a meno della volgarità del pacchetto con scritte minacciose a favore di portatabacco artigianali confezionati con gusto e attenti alla corretta conservazione del trinciato. Alcuni sono spiritosi fin dal nome, date un’occhiata al portatabacco Mavà , manufatto artigianalissimo che sembra uscito da un film di Tarantino o a quello di charlyclothing che invece è fatto con pezzi di yuta riciclata dai sacchi del caffè.

Un ultimo aspetto che in pochi considerano: un pacchetto di sigarette ne contiene 20 mentre con un sacchetto di tabacco da 40g se ne rollano almeno tre volte tanto. Con i pacchetti consumati in Italia i conti son presto fatti e una bella montagnola di carta e plastica è risparmiata all’ambiente.
Se proprio non si rinuncia al vizio, almeno si cerca di limitare l’impatto.

Un promemoria che scotta

Nell’attesa del nuovo governo e della decisione di dove immagazzinare i nostri camion (una fila come tra Milano e Torino) di materiale radioattivo, è on line un filmato che in due minuti ricorda decenni di disastri radioattivi.

Le conseguenze purtroppo sono dilatate nel tempo. Il fatto che un disastro sia passato da un po’ (son 27 anni da Chernobyl) non ci rende immuni dalle conseguenze. Ce lo dimostrano i cinghiali radioattivi delle valli piemontesi: su 100 analizzati, ben 25 avevano delle dosi di Cesio 137 molto superiori al previsto (soglia massima consentita 600 Becquerel, soglia rilevata 5621). Non illudiamoci che l’effetto sia limitato al Piemonte e ai cinghiali, perché se gli ungulati tra Val Susa e Monviso son quasi diventati fosforescenti andando a ruzzolare tra cespugli irrorati di Cesio, non è finita lì. La nube di Chernobyl, prima di arrivare a godersi il panorama della Mole, è passata dalla Scandinavia e su tutto l’arco alpino tra Alto Adige e Liguria. Non solo: come troviamo gli effetti nei cinghiali (e quindi nelle loro carni, salsicce, derivati e in tutto quello che non è ancora stato analizzato), è  lecito aspettarseli anche nei funghi, nei tuberi, nei frutti di bosco e nei tartufi. E tutta ‘sta roba chi l’analizza?

Insomma, se ricordare non guasta e ci aiuta a tener presente che non è mai saggio manovrare cose che poi rischiano di scappare di mano (maneggiare l’atomo non è come giocare col Lego), è meglio d’ora in avanti tenere un occhio anche su quel che ci capita di mangiare tra le valli. Quel che credevamo puro perché protetto dalla natura selvaggia, potrebbe non esserlo. Ve lo dice un goloso che vorrebbe davvero evitare di andare in giro con un contatore Geiger in tasca.

Reinhold Messner: il ghiaccio nel museo


Nel trailer del nuovo documentario su di lui, Reinhold Messner rivela facce inaspettate dal pubblico che lo crede solo un alpinista. Un suo ritratto esposto nel castello di Brunico mostra la chioma fluente che ti immagini fatta apposta per essere mossa dal vento dell’Himalaya, con le ciglia così folte da farlo sembrare un’immagine solo appena più civile di uno Yeti. Poi lo vedi dal vero (Messner, non lo yeti) e capisci che quella caricatura è distante dalla realtà. 


Lui, leggenda dell’alpinismo, è anche collezionista, contadino ed ecologista. A Solda, ai piedi dell’Ortles, un edificio invisibile dall’esterno ospita una collezione di dipinti e cimeli dove l’acqua allo stato solido è protagonista. «Volevo parlare del ghiaccio dove c’è il ghiacciaio, non potevo portare la gente in vetta, così ho fatto un museo dove il ghiaccio si vede, nei quadri e dall’unica apertura sul tetto».


Il ghiaccio ritorna protagonista a Castel Firmiano, alle porte di Bolzano, nel suo museo più vasto. La mostra appena aperta nell’area delle esposizioni temporanee racconta per immagini quello che sta succedendo ai ghiacciai. Kaukasus Karakorum – Sulle tracce dei ghiacciai è una collezione di immagini in parallelo tra suggestivi scatti panoramici, d’epoca e contemporanei. Il fotografo Fabiano Ventura ha ricercato lo stesso punto di scatto a distanza un secolo. «Non sono state poche le difficoltà di individuare lo stesso punto di scatto di un secolo fa. In certe aree, il ghiaccio è scomparso del tutto e la vegetazione impedisce di piazzare la macchina fotografica», afferma il giovane fotografo. «Mi sono subito appassionato di queste foto – dice Messner – perché non fanno commenti o analisi scientifiche sui ghiacciai ma presentano i fatti come li capirebbe un bambino». La maggior parte delle immagini mostra il drammatico ritiro della massa glaciale: dove nello scatto storico in bianco e nero c’era il ghiaccio, in quello a colori si notano ghiaioni e alberi. 
«Solo in alcuni casi, preservati da condizioni geoclimatiche particolari, si assiste alla conservazione o in certi casi addirittura all’aumento di ghiaccio», commenta il professor Claudio Smiraglia riferendosi alle immagini della mostra. «Nelle diverse epoche c’è stato un andamento alternato tra contrazione ed espansione dei ghiacci – continua il glaciologo dell’Università di Milano tracciando un quadro sulla tendenza attuale – Non è vero che la Val Padana, parlando di un caso italiano, soffrirebbe la scomparsa dei ghiacciai alpini, che contribuiscono solo per il 10% al volume d’acqua del Po. È vero però che ecosistemi alpini  d’alta quota ne risentirebbero in modo drammatico». 
«Un maso non può vivere senza acqua – aggiunge Messner – a Castel Juval (il museo a fianco al quale ha realizzato un’azienda agricola modello e un ristorante a chilometro zero, ndr) un acquedotto rifornisce l’acqua da 400 anni».



Il messaggio che l’alpinista lancia è soprattutto una presa di coscienza.
«Noi sulle alpi non portavamo neanche la borraccia e sugli 8000 solo il fornello per sciogliere la neve, perché se vai in montagna sai che l’acqua è tutto. L’uomo deve rispettare l’acqua perché da lì viene la vita. Non deve costruire dove si forma e non deve contaminare dove scorre». Con pragmatismo da contadino, Messner traccia una linea di confine precisa e invalicabile, stante la quale oltre i duemila metri non bisognerebbe stabilire alcuna attività.


«Microimpianti idroelettrici o lo sfruttamento della capacità di rilascio delle dighe sono uno spunto rinnovabile per la sostenibilità – dice Andrea Falessi di Enel Green Power, sponsor della mostra – ma ottime occasioni per produrre energia possono trovarsi anche con geotermico e biomasse che sfruttano elementi naturali presenti in abbondanza in ambienti sensibili come quelli alpini».  


«Alla base di tutto deve esserci il rispetto per la cultura contadina – precisa Messner – I problemi che abbiamo con le Alpi sono parecchi. Molti dalla città vorrebbero usarle solo per passare il weekend. Altri sognano le Alpi di Heidi. Io mi batto per la realtà. Abbiamo una responsabilità, il diritto di tutelare e anche sfruttare le Alpi dove l’uomo ha sempre lavorato. Se il turismo ci porta i mezzi per sopravvivere è giusto approfittarne. L’allacciamento tra turismo e agricoltura è la base per il turismo, però oltre una certa quota, dove c’è il ghiacciaio, l’uomo non deve fare infrastrutture».

Messner è oggi un fine collezionista e gli allestimenti dei musei rivelano un buon gusto mediato tra minimalismo ed esaltazione per la materia, ferro grezzo per le strutture, pietra sulle mura e i quadri che si stagliano come chiazze di colore. Mentre passeggiamo di fronte alle tele ci fermiamo. Mi invita a guardare un paesaggio alpino sul confine tra il pascolo smeraldo, la roccia rugginosa e il ghiaccio perlato. Osservo quella mano che ha impugnato una piccozza su tutte le vette più alte dei continenti, accarezzare i colori con una delicatezza inaspettata. Emerge una tenerezza che spinge lo yeti lontanissimo. p forse è solo lo yeti feroce che fugge per lasciare qui un simbolo di pace della Natura. «Sparisce il ghiaccio, si sgretolano le montagne. Quando ero piccolo cadevano solo piccoli pezzi, oggi crollano rocce grandi come grattacieli. Le Dolomiti erano definite da Le Corbusier le costruzioni più belle del mondo, nate nel mare come coralli. In 50 milioni di anni sono cambiate un po’ le forme, però questo verde sotto, i cirmoli, le malghe, e poi la verticalità delle rocce sono una combinazione unica».
L’uomo che da del tu agli 8000 e ai Seven Summits ci parla dell’acqua e delle sue montagne con l’arte e con semplicità francescana. È un segnale forte, non solo per chi conosce le alte quote, sapremo coglierlo?
La mostra nell’area temporanea del Messner Mountain Museum di Firmian  è stata resa possibile grazie al supporto di aziende a vocazione verde:
Per pernottare in zona Bolzano e per info sui mezzi pubblici:

Le canne non si fumano, si pedalano

Non scrivo di cannabis ma di bambù.

Non è la prima volta che si vede in giro, ma ora la moda dilaga e in rete iniziano a circolare forum e club che insegnano ad autocostruirla.

La bici in bambù è leggera, elastica, resistente agli urti, quasi completamente riciclabile e in certi casi perfino solidale, come dichiara la tedesca Zuri.

Un elemento in più che sicuramente scatena l’originale che è in ognuno di noi: non ce n’è una uguale all’altra, come le canne, del resto.

La casetta sul fiume

C’è una casetta sul fiume.

Se non fosse per il timore delle piene che l’hanno spazzata via cinque volte, potrebbe essere il sogno di chi ama addormentarsi abbracciato solo dal fruscio del vento e dalla voce dell’acqua. Per la cronaca si trova sulla Drina, il fiume tra Bosnia e Serbia.
Qualcosa di simile abbiamo anche noi sul Po, però in versione galleggiante.

Anche qui il fascino non manca, con in più la certezza di essere al sicuro visto che, in caso di piena, la casa galleggia restando ben ancorata alla riva. Il risveglio in compagnia degli aironi è garantito. Basta andare al Ponte della Becca, a pochi chilometri da Pavia sulla foce del Ticino nel nostro principale fiume, per trovarne alcune di molto interessanti. Dalla città è anche una bellissima pedalata.

Una curiosità: esistono anche prototipi di case galleggianti autosufficienti, grazie al vento e alla corrente.

Quel che non sorprende, però, è che lo sfruttamento della corrente dei fiumi non è una novità, ma è ben conosciuto da chi ha visto le vecchie foto dei mulini sul Po.

Sull’Adda esiste invece si trova il traghetto di Imbersago, che si sposta da una parte all’altra solo sfruttando lo scorrere dell’acqua. Fu perfino ritratto nelle tavole di Leonardo da Vinci.

Dimostrazione che le buone idee, prima o poi, tornano a galla.

Pane, fattelo in casa buono e conveniente

La cucina ai tempi della crisi cambia vocazione per riscoprire manualità con ingredienti genuini e acquistati direttamente dai produttori. Era sul Corriere di qualche tempo fa la notizia che il pane fatto in casa batte la crisi e vince col gusto. Stessa autrice e stesso argomento settimana scorsa, questa volta con estensione a yogurt e marmellata, con la conferma che almeno un italiano su tre produce alimenti in casa. A riprova, i dati ISTAT confermano che se cala la spesa in generale degli alimentari (-1,5%), aumenta invece quella per gli ingredienti base (farina +8%, uova +6, burro +4).
Qualcuno ha guardata anche al portafoglio e alla salute: conti alla mano, parrebbe che farsi il pane permette di risparmiare fino al 310% e garantisce la certezza di ingredienti genuini. Di sicuro, poi, il pane dura, se ben conservato, fino a una settimana.

Sì, anche io, una volta alla settimana

La ricetta tradizionale è davvero semplicissima, perfino nel forno tradizionale e in molti siti è proposta con dettagliati passaggi fotografici a prova di dilettante. Le idee per poi personalizzare il risultato sono infinite. Può perfino diventare un gioco per i più piccoli che apprezzano qualcosa fatto da loro riuscendo a valorizzare un cibo di forte tradizione.

Fare il pane educa

Non dimenticherò mai un giorno trascorso a scrivere un racconto in una scuola elementare di una borgo della Brianza, Missaglia. Alla mia domanda “Cosa vi piacerebbe succedesse nel futuro al vostro paese”, la risposta spiazzante di bimbo è stata “Vorrei che nelle vie si sente ancora il profumo del pane”. Nulla da aggiungere.