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Guerre Stellari 7, i luoghi della forza dell’universo di Star Wars, senza lasciare la Terra

Ci risiamo, è di nuovo Guerre stellari, Star Wars. Ero al cinema nel 1977 e potrei ancora dirvi dove ero seduto – terz’ultima fila del cinema più grande della mia piccola città – e con chi – mio nonno e mio fratello. Dettagli, ma che mi ricorderanno quanto fosse strepitosa la storia di quel primo episodio quando nei prossimi giorni andrò a godermi Il risveglio della Forza. Non avendolo visto – questione di ore – ed essendo pieni il web e la carovana mediatica di tutte le informazioni, vi risparmio la cascata di dettagli coi quali ci stanno bombardando. Vorrei solo uscire a cena con Harrison Ford, ma nessuno ha pubblicato i suoi recapiti e questa è un’altra storia.

Piuttosto vorrei raccontarvi i luoghi meravigliosi che hanno visto risvegliare la forza facendo da location al nuovo film. Sparpagliati nell’universo nella fantasia del racconto, sono ben saldi sulla terra nella realtà.

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Il Regno Unito e l’Irlanda la fanno da padrone. La foresta di Deam è un luogo talmente incontaminato da essere stata scelta in passato per fare da cornice alle storie di Mago Merlino e Doctor Who. Dalle foto in rete, l’area di Puzzlewood sembra davvero un quadro primordiale. Il Lake District si presta alle scene di natura in campo aperto. L’alternanza di terra e acqua l’ha reso adatto a diventare un campo di battaglia. La base missilistica di Greenham – dismessa dal 1993 – era già finita sui media quando un pilota amatoriale ci ha visto parcheggiati il Millenium Falcon di Han Solo durante le riprese. I vecchi hangar e i boschi che li circondano ben si prestano a un’idea di base sperduta. La palma di luogo isolato, in tutti i sensi, spetta però allo scoglio di Skellig Michael, Patrimonio Unesco sulla costa ovest Irlandese. Sulla sua vetta c’è perfino un monastero e il luogo è talmente impervio da essere impregnato di leggende, arroccate lì da chissà quanto.

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Poi ci sono i deserti, ben due. Quello gelido è tra le nevi dell’Islanda, ma gli esperti sostengono sia stato parecchio ritoccato. Il ghiacciaio di Mývatn e il cratere di Krafla sono luoghi che comunque non hanno bisogno di effetti. L’energia della terra, lì, si respira. Zero effetti anche ad Abu Dhabi. Rub’ al Khali è in una delle aree desertiche più ampie al mondo e la location non ha davvero richiesto sovrastrutture. Peraltro è anche uno dei pochi deserti sul pianeta ad ospitare posti da fiaba con livelli di comfort a cinque stelle. Forse fin troppo, ma le fiabe vogliono i loro posti da principe. Per la cronaca, in passato anche l’Italia fu coinvolta in alcune scene della saga. Ne L’Attacco dei cloni – secondo episodio, il quinto al cinema – la Reggia di Caserta era il palazzo reale di Naboo mentre la villa del Balbianello sul Lago di Como era il luogo dove Anakin and Padmé si sposano.

Del resto, sulla pace della Natura:

Il miglior rimedio per chi ha paura, è solo o infelice, è uscire, andare dove si può stare in pace, soli con il cielo, la natura e Dio. Solo allora ci si rende conto che tutto è come dovrebbe essere.

Anna Frank

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Se è vero che per trovare l’energia basta immergersi nell’incontaminato, forse gironzolando in questi luoghi, riusciremo ad aggiungere suggestioni stellari. Ma questo ce lo racconteremo dopo il film. Che la forza sia con noi, ci sarà utile per superare le file al botteghino.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Aggiornamento: visto il film, è praticamente il primo, solo in versione XXXL, con tutti più grassi, compresa la morte nera.

Discovery e la prossima estinzione

Sulla Terra l’estinzione di massa è un evento raro ma ricorrente e Discovery sta per raccontarlo con un evento in contemporanea mondiale.

Tutti conosciamo quella dei dinosauri di 65 milioni di anni fa, ma crediamo che ci riguardi poco visto che i primi ominidi hanno iniziato a calcare il suolo solo 4,5 milioni di anni fa. Tanto per dare una misura tangibile in termini di generazioni, se consideriamo una generazione umana ogni 30 anni, i dinosauri si sono estinti  due milioni di generazioni umane or sono. Ma una estinzione peggiore è quella di 250 milioni di anni fa, per la quale fu spazzata via dalla Terra la maggior parte delle forme di vita. Visitando il Museo di Storia Naturale di Londra, una linea retta sulla tavola del tempo racconta che nei 4,5 miliardi di anni del nostro pianeta, gli eventi catastrofici non solo non sono mancati, ma anche hanno contribuito ai processi evolutivi.
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Più del 90% di tutti gli organismi mai vissuti sulla Terra si sono estinti. Così come le nuove specie si evolvono per adeguarsi alle nicchie ecologiche in continuo mutamento, le vecchie specie spariscono. Ma il tasso di estinzione è ben lontano dall’essere costante. In più di un’occasione, negli ultimi 500 milioni di anni, un’importante percentuale delle specie che popolavano la terra (tra il 50 e il 90 per cento) è scomparsa in un lasso di tempo molto breve dal punto di vista geologico.
Nonostante la loro portata catastrofica, le grandi estinzioni sgombrano la strada alla comparsa di nuove forme di vita. I dinosauri apparvero in seguito a una delle più gravi estinzioni di massa mai verificatasi sulla Terra, quella avvenuta circa 250 milioni di anni fa, al passaggio dal Permiano al Triassico.

I passaggi sono tratti dal numero speciale di National Geographic dedicato alle grandi estinzioni. Dov’è il problema in tutto questo? Semplice: quello che fino ad oggi si è manifestato in tempi da ere geologiche, ora si cronometra in decenni. Tornando alla nostra grezza unità di misura delle generazioni, prima serviva un intervallo di centinaia di migliaia di generazioni per portare alla catastrofe, ora siamo a tre. Merito umano. Per il 2100, si prevede che le attività in cui siamo davvero bravini – inquinamento, disboscamento, esaurimento delle risorse – avranno eliminato oltre la metà delle specie animali, marine e terrestri.

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Del tema delle estinzioni se ne occuperà con un evento straordinario Discovery Channel. Il documentario Racing extinction, del premio Oscar Louie Psihoyos, sarà divulgato in simultanea mondiale, il 2 dicembre, in 220 paesi alle 9 pm GMT (le 22 di Roma). I primi 4 minuti in chiaro sul sito sono una anticipazione cruda di quanto l’uomo sta facendo per accelerare. Uccelli ormai solo sotto vetro, grandi mammiferi africani imbalsamati, fino a seguire la polizia federale nel ristorante americano che serve carne di balena contravvenendo le direttive per la tutela delle specie a rischio. Tutto questo in concomitanza col summit di Parigi.

Ce la faremo stavolta a metterci d’accordo? L’opzione insuccesso sarà come firmare la prossima estinzione e non sono sicuro che, ecologisti o no, la vogliamo davvero.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Rintracciati i social manager dell’omofobia di Melegatti

Dopo aver inciampato nei biscotti di Barilla, l’omofobia si schianta nel morbido del pandoro Melegatti. Il marchio in questione, dalla sua pagina social sussurrava morbidamente tra le lenzuola un “ama il tuo prossimo come te stesso, basta che sia figo e dell’altro sesso”. Poi aggiustato in circa un’ora con un politacally correct “ama il tuo prossimo come te stesso, basta che sia figo e del sesso che vuoi”.

Ok, è passata una settimana, ma dove sono ora i responsabili?

Il creativo e il social manager che ha autorizzato sono già stati spediti a fare i promoter nell’unico supermercato di Narsarsuaq, Groenlandia, tre dipendenti su due turni, grande come il fruttivendolo all’angolo qui da noi, senza vetrine perché con le bufere  a meno 20 disperderebbero troppo calore. L’invio è particolarmente azzeccato, perché a  Narsarsuaq il pandoro ha seri problemi a penetrare. Tutta colpa della difficoltà di comunicare la ragione per cui in Italia preferiamo il burro al grasso di foca. I groenlandesi se ne strafregano di chi va a a letto con chi, ma non tollerano che i grassi si confondano.

Il nuovo creativo di base in Italia è stato invece prontamente assoldato grazie a uno scambio culturale con una facoltà di matematica a caso – il venerdì pomeriggio a lettere non c’era nessuno! – e ha dovuto rinunciare alla rima perché non era caricata a sistema. Resta il fatto che ha lasciato la parola “figo”, escludendo di botto i non vanitosi e quelli ben coscienti di non appartenere alla percentuale non attraente del pianeta, anche se mangia pandoro.

Morale: una svista – ci mancherebbe – può capitare a tutti. Che sia svista anche ai piani alti, un po’meno. Il peccato, quello vero, che ferisce la mia gola prima ancora che il mio cuore, è che l’amaro dell’omofobia questa volta ha sfiorato il dolce più buono dell’anno. nel frattempo, auguri a tutti i groenlandesi.

Nel pomeriggio, però, dopo una mattina di bufera di quelle che neanche in Groenlandia, dalla pagina facebook di Melegatti – conosciuta anche come “bollettino del pandoro”- arrivano dichiarazioni che aggiustano il tiro:

Con riferimento al post di questa mattina, Melegatti S.p.A. chiarisce che la gestione della comunicazione sui social è affidata ad un’agenzia esterna che ha pubblicato senza autorizzazione da parte dell’Azienda.
Melegatti S.p.A. si dissocia dall’operato di tale agenzia che ovviamente è stata sollevata dall’incarico e si scusa formalmente con chiunque si sia sentito offeso dal contenuto.
Da 121 anni Melegatti è per tutti.

Non credo sia tutta una montatura, nonostante qualcuno ne abbia paventato la possibilità. Melegatti è un marchio di un certo tipo e il suo management, nonostante l’inciampo, non si affiderebbe a colpi di questo rischio. Credetemi, non conviene, lo dimostrano i casi – e i budget – aziendali. In parecchi sanno bene che la ferita di Barilla ci ha messo un po’ a cicatrizzarsi. Giovanardi non mangia il Pan di stelle, così come Alfano, con quella faccia perennemente ingrugnita, non ci incozza col pandoro.

Non solo. Al sottoscritto è anche arrivata una lettera con le scuse personali dell’AD di Melegatti Gianluca Cazzulo. Personali, capite?

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Evidentemente non tutti i manager sono di plastica. Alcuni sono di pandoro e al pandoro non si dice mai di no. Scuse accettate 🙂 e che l’Avvento abbia inizio, che si condivida o no l’atmosfera del 25 dicembre, il pandoro non può aspettare, dai.

Il gusto di perdersi in un bosco

Peter Weir e il suo team ne l’Attimo Fuggente interpretato da Robin Williams scelsero una frase di Thoreau per portarci lontano.

Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità e succhiare tutto il midollo della vita, sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire in punto di morte che non ero vissuto.

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Al Pisa Book Festival si parla (anche) di mare

In questi giorni in Toscana tira aria scozzese, con il Pisa Book Festival che ospita la nazione più settentrionale del Regno Unito e i suoi autori sospesi tra i Glenn e le Highlands. Parlando di Scozia, si parla anche di mare e di ecologia. La giovane autrice Kirsty Logan è un caso letterario che ha ambientato il suo fantasy The Gracekeepers su un dualismo acqua – terra, con una parte del racconto sviluppato sotto il livello del mare e risvolti sui personaggi che non risparmiano aspetti problematici della società. Una spiaggia è il raccordo tra i due mondi.

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A volte la gente legge il mio libro concentrandosi sul gender, altre volte sulla razza, poi sul denaro e l’arricchimento di pochi a discapito di molti, un tema molto sentito in UK in questo momento. Capita anche che ci si concentri sul cambiamento di clima, un altro argomento che tocco. Accolgo tutte queste interpretazioni. Amo l’ambiente scozzese, abito a Glasgow e guidando un’ora mi immergo nella natura e nell’ambiente marino. Apprezzo il mare e la Scozia, che è molto legata alle onde ed è davvero fonte di ispirazione. Il mare non deve necessariamente essere tuo amico, “è” e basta, e quando fa anche cose terribili, devi accettarle.

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Il perché di un libro LGBT, “Il ring degli angeli – sedici racconti e una fiaba”

L’uso che si fa di un libro, può essere sbagliato?

Lo confesso: a me il modo in cui manifestano le sentinelle in piedi piace. Nell’epoca delle urla televisive e degli imbonitori della rete, schierarsi in silenzio e manifestare la propria idea con un libro in mano è molto più provocatorio. E mi disturba, non avete idea quanto, che lo facciano loro. Però c’è una contromisura che attacca la (in)coerenza delle sentinelle. Chi legge un libro, di solito, dovrebbe avere le idee più aperte, ma nel caso di questi lampioni della fede da piazza questo mi sembra non valga. Così provo a lanciare una provocazione garbata. Manifesti con un libro? Eccotene uno! Con la copertina bella colorata, magari.

Ho voluto tentare un’operazione insolita: raccogliere un gruppo di amici che condividono la mia idea sulle sentinelle e credono nel potere della parola, rispolverare alcuni racconti scritti in passato, pubblicarli (anche) con il sostegno del gruppo, riportare tutti i nomi dei sostenitori in una pagina e diffondere.

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Dicono che in Italia sia difficile pubblicare dei racconti. È anche un dato di fatto che da noi sia inusuale pubblicare storie gay. Per qualcuno potrebbe essere la cronaca di un fallimento annunciato, ma ogni tanto qualche sfida bisogna accettarla: ho riunito 16 racconti e una fiaba. Alcune storie hanno qualche anno, qualcuna è più recente, la fiaba risale al Natale 2014 ed è stata scritta con due bambini di 10 e 7 anni che non hanno distinto il termine amore in base al sesso. Sono storie che hanno girato l’Italia per i contenuti, hanno girato l’Italia anche in concorsi e rassegne, hanno girato perfino fisicamente, nel taccuino, quando arrivando in un luogo iniziavo ad annotare quello che respiravo intorno a me. C’è il passato, il presente e perfino il futuro. C’è un po’ di western e un po’ di Medioevo. C’è la montagna e c’è la città. Ci sono racconti basati su fatti veri e storie inventate, ma ambientate in contesti reali. Per campare scrivo documentari e faccio il giornalista, quindi chiedo scusa in anticipo se, facendo prevalere il reale o il verosimile, ho mancato nella fantasia in cui gli scrittori di professione se la cavano meglio. Abbiate pazienza, essendo un’operazione senza fini di lucro, sarebbe indelicato chiedere il rimborso al libraio.

Spero ci sia, in chiunque condivida lo spirito di questi racconti, la soddisfazione della scoperta e della curiosità. Spero ci sia anche la forza di accettare la scommessa. L’omofobia si può combattere, anche così. Magari un racconto riesce ad assestare un colpo più forte di un’azione fisica e alla fine cambiare il pensiero di una persona. Magari, e me lo auguro con tutta la forza che ho in corpo, una delle storie avrà anche la capacità di infondere coraggio in chi, nella comunità LGBT, si sente attaccato o emarginato. Nessuno va lasciato solo in una battaglia. E purtroppo le affermazioni e i gesti di certi politici in cerca di sostegno da trogloditi elettorali, di opinionisti da bancarella e di persone dalla mente contorta ci dicono che siamo in una battaglia. Da una parte loro e le sentinelle. Dall’altra parte un mondo che crede nel rispetto e nella tolleranza per chi ha gusti non uniformati alla maggioranza, ma rispetta gli altri, contribuisce alla società e paga pure le tasse, anche se non vede tutti i suoi diritti riconosciuti. La fortuna dei primi è il silenzio dei secondi. Dobbiamo reagire. Ognuno usi i mezzi di cui dispone. Il sottoscritto e altre cento persone lo hanno fatto con Il ring degli angeli. Chiunque ci creda, può unirsi a noi facendosi una foto col libro o con la stampa della copertina. Sentinelle, state pure in piedi, perché qui non c’è posto per l’intolleranza.

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Quando muoversi in bici e a piedi diventa un guadagno

Uno studio danese ha reso evidente i costi, reali e sociali, del muoversi in bici rispetto all’auto. Già spagnoli, svizzeri e tedeschi avevano messo in luce i vantaggi più evidenti in termini di code, parcheggi, tempi di percorrenza, ma, con la congestione del traffico delle nostre città, il lavoro dell’Università Lund di Copenaghen ci mette le mani nel portafoglio e ci parla di cifre. In breve: l’auto è un costo sociale, la bici un guadagno.

Il motore non solo consuma risorse ma inquina e incide negativamente sui costi sanitari per sedentarietà degli utilizzatori e qualità dell’aria. La bici migliora la salute e il guadagno della collettività espresso sui dati di una città media è di 0,16 euro per chilometro percorso.

La bici potrebbe anche essere uno strepitoso strumento per il rilancio dell’economia. Attingo alle affermazioni di Giulietta Pagliaccio, presidente FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicicletta) espresse proprio a proposito della capitale danese, che è leader nell’uso dei pedali:

A Copenhagen il 26% della mobilità è in bici, e, se limitassimo l’analisi agli spostamenti di studio o lavoro, il dato salirebbe al 36%. Nella altre capitali il dato è drammaticamente più basso, con l’1% a Madrid e la più virtuosa Vienna con un 6%. Se nelle 54 principali città europee si usasse la bici con lo stesso impegno di Copenhagen otterremmo 76000 posti di lavoro in più e 10000 vittime sulle strade in meno. Concentrando il dato su Roma leggeremmo +3219 occupati e -154 decessi.

Nessuno pretende di cambiare all’improvviso e radicalmente le abitudini. Né suggerisco di trasferirsi subito in Danimarca. Certo è che tra l’usare l’auto ad ogni costo e lo spostarsi solo in bici o a piedi dei compromessi esistono. Se l’attitudine e muoversi e a stare meglio c’è, ma – come spesso capita – il fattore critico è il tempo, perché non provare a cambiare nei momenti in cui il tempo non manca, cioè in vacanza? Idee e progetti abbondano in rete. Se vi va di approfondire e conciliare con un weekend originale, puntate la vostra bussola su Monteriggioni, in provincia di Siena.

Nella cinta muraria più affascinante della penisola c’è la Slow Travel Fest, tre giorni per ascoltare, confrontarsi e misurarsi sul muoversi lento. Si presenta anche un curioso spettacolo su un camminatore d’eccezione. E’ la storia di un lupo e del suo viaggio di mille chilometri tra le montagne. Non sottovalutatelo, scopriremo delle affinità di natura che l’esistenza urbana non ha mai sedato.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Expo agli sgoccioli, la visita in 10 mosse

Expo è agli sgoccioli e le file all’ingresso sono solo l’anticipo di quello che c’è da aspettarsi all’interno per accedere ai padiglioni. Peccato arrivare quando ormai mancano solo 50 giorni, ma come dimostrano i record d’ingressi di questi giorni meglio tardi che mai. In molti mi chiedono una lista di soggetti a cui dare priorità. Continua la lettura di Expo agli sgoccioli, la visita in 10 mosse

Se un bacio (gay) fa schifo

Che quella del bacio gay fosse una copertina destinata a far discutere era scontato. Un bacio tra due rugbisti, coppia anche nella vita, sulla copertina del settimanale della Gazzetta è già di per sé una bomba nel panorama dei magazine italiani, figurarsi poi se il giornale tratta di sport, dove l’omertà regna ancora incontrastata negli spogliatoi. Continua la lettura di Se un bacio (gay) fa schifo

K3 RedBull, non è una gara per gipponi

Chi si fosse trovato nella metro milanese recentemente si sarà imbattuto nel messaggio “L’estate è là fuori” della campagna della Jeep, marchio FCA. Rispedisco l’augurio al mittente se la bella stagione implica il trovarsi Jeep in spiaggia, ruote sulla sabbia, motori a fianco al molo, così come proposto dalle immagini pubblicitarie. Continua la lettura di K3 RedBull, non è una gara per gipponi