Hiroshima e l’era del cervello in fumo

Hiroshima e Nagasaki, agosto 1945. Ieri, 69 anni fa, entravamo ufficialmente nell’era della minaccia atomica.

Il professor Noam Chosky del Mit sostiene che se un extraterrestre cercasse di datare la nostra esistenza sul pianeta, userebbe il giorno dello sgancio di Little Boy su Hiroshima come l’anno zero della nostra civiltà, quello in cui l’uomo raggiunse capacità tali da autodistruggersi.
Ne furono necessari due di confetti, perché Fat Man, quello sganciato su Nagasaki a distanza di tre giorni, era leggermente diverso da Little boy e gli illuminati strateghi decisero che non c’era miglior test che un teatro di guerra pieno di civili. La decisione conferma il senso dell’anno zero di Chosky: l’uomo abbandonava il ragionamento e il dialogo per affidarsi alla bomba.

Anna Frank, 70 anni fa

Anna Frank iniziò a morire il 4 agosto di settant’anni fa. Da quel giorno, non scrisse mai più sul suo amato diario. Perché, il 4 agosto di un lontano 1944 Anna Frank fu arrestata. Aveva da poco compiuto quattordici anni e da due viveva con la sua famiglia e altri quattro ebrei in quello che lei chiamava l’Alloggio segreto.
Il nascondiglio si trovava dietro una libreria all’interno della sezione non utilizzata della ditta di suo padre, Otto Frank, in Prinsengracht 263 ad Amsterdam.
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Anna scriveva così sul suo diario:
“L’Alloggio segreto è un nascondiglio ideale! Anche se è umido e storto non esiste in tutta Amsterdam, né probabilmente in tutta l’Olanda, un nascondiglio più comodo di questo”.
La comodità di quel nascondiglio umido non bastò per salvarle la vita.
Anna tenne un diario fin dal suo tredicesimo compleanno e fu proprio quel quaderno a diventare, in quegli anni di vita clandestina, il suo più fidato amico e interlocutore. In quel rifugio storto, crebbe e tentò di passare da bambina giovane donna, ma quel processo fu interrotto, spezzato con violenza il 4 agosto di settant’anni fa.
Era una calda giornata e il profumo dell’estate era riuscito a penetrare anche dietro quella libreria, quando al quartiere generale della polizia tedesca arrivò una soffiata sul nascondiglio dei clandestini. Era il tradimento. Anna fu tradita a soli quattordici anni.
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Julius Dettman, l’ufficiale della SD che rispose al telefono, ordinò al sottufficiale delle SS Karl Silberbauer di recarsi in Prinsengracht. Alcuni poliziotti olandesi lo accompagnarono per aiutarlo.
Anna fu arrestata insieme agli altri clandestini, mentre il sole splendeva alto nel cielo. Iniziava così a morire.
Fu deportata ad Auschwitz, in una stessa baracca con la madre e la sorella. Più tardi, Anna e Margot vennero trasferite a Bergen-Belsen. Lì, nel marzo del 1945, morì. Aveva solo quindici anni.
Non rivide mai più il suo diario, né scrisse né sfoglio un libro per il resto dei suoi brevi giorni.
Questo articolo è tratto dall’Huffington Post.

Aids, a Milano non si sta tranquilli

Tra i tanti messaggi di speranza legati alla cura dell’AIDS mi ha colpito la notizia diffusa dal Centro Operativo AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità in merito a Milano. Nel territorio della ASL del capoluogo lombardo si rilevano il 56% delle nuove infezioni nazionali, con 10 casi registrati alla settimana. Questo significa che proprio nella grande città, dove il livello di informazione e sensibilizzazione dovrebbe essere più alto, il rischio è sottovalutato. E non è finita qui, purtroppo, come spiega Gianmarino Vidoni, direttore del servizio Malattie a trasmissione sessuale dell’Asl Milano:

I dati che abbiamo sono da considerare sottostimati almeno del 30%  perché prendono in considerazione solo chi si è sottoposto a test. Le persone che credono di non correre alcun rischio e non fanno il test, anche se malate, non figurano nelle nostre statistiche.

Provocatorio, ma non troppo, lo spot realizzato proprio dal dipartimento di Prevenzione Medica dell’Asl meneghina e che si spera di diffondere grazie ai social. Dalle Parole di Coco Chanel, il regista Luca Mariani (lavora tra Milano e Barcellona, sua, tra le altre cose, la clip di Mondo di Cesare Cremonini) parte con un messaggio chiaro. Ora più che mail il profilattico è l’unico accessorio non accessorio

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.


Parlano gli animali nello spot belga dei mezzi pubblici

Una compagnia di trasporti belga ha trovato un modo spassoso per ricordare che usare i mezzi pubblici ha i suoi vantaggi. La metafora è evidente: in gruppo si è più forti e più si usano i mezzi pubblici e più i benefici aumentano, parola di pinguini, granchi, formiche e lucciole.
Il nostro problema è che in Italia i mezzi zoppicano.

Esempio 1: devo fare una gita in montagna e vorrei concatenare un percorso tra due diversi valli. Vi garantisco che trovare due bus con orari compatibili a una gita giornaliera è davvero impegnativo.
Esempio 2: ci sono meravigliosi paesaggi pronti a essere scoperti grazie alle strade ferrate secondarie e mi piacerebbe visitarli. Spesso, spessissimo, mi è capitato di mancare una coincidenza perché i ritardi mi hanno fatto perdere il treno in partenza e nessun capostazione illuminato ha fermato il traffico fino ad attendere i passeggeri del convoglio in arrivo.
Dunque il caso italiano andrebbe vagliato con la copertura e la puntualità in cui purtroppo il nostro paese zoppica. Intendiamoci, siam messi meglio del terzo mondo, ma non posso accettare le scuse “orografia complessa” perché non mi spiegherei la Svizzera, “siamo in troppi” perché non mi spiegherei la Germania, “troppa burocrazia” perché non mi spiegherei l’Alto Adige. Forse anche quando mancano treni o sono in ritardo inaccettabile potremmo allora davvero unirci come lucciole, granchietti e pinguini e difenderci dal predatore di turno. Si chiama potere di acquisto ed è uno dei messaggi che leggo volentieri nello spot belga.

Superman intervistato, il merito è tutto del figlio

Ho avuto modo di intervistare Nico Valsesia. 
Se vi chiedeste chi fosse, è l’atleta che ha portato l’Italia sul podio della Race Across America RAAM 2014. Il 43enne era già diventato famoso nel giro degli atleti outdoor per aver raccontato alle telecamere di Fazio l’impresa della pedalata record tra Genova e il Monte Bianco, ma il ragazzo si era già misurato in corse tra deserti e montagne al limite del possibile.

Nico incoraggiato dal figlio Santiago

La sua ultima impresa è stata appunto la coast to coast USA dal Pacifico all’Atlantico. Se la trasponessimo in misure europee, è come se avesse pedalato da Gibilterra a Mosca con in mezzo un dislivello di quattro volte il Monte Bianco. Il tutto a un ritmo continuato con solo un’ora e mezzo di sonno al giorno durante l’unica sosta lunga (si fa per dire) quotidiana. Anche se me lo avevano anticipato come un personaggio molto alla mano, la sensazione di essere di fronte a superman c’era. E superman questa volta si era portato il figlio ed era intenzionatissimo a non sfigurare. Da qui la tentazione di fargli qualche domanda.

1- Nico, cosa aggiunge questa impresa al tuo già ragguardevole repertorio?

Innanzitutto gioia immensa per essere stato seguito e supportato dal mio primo figlio Santiago: il motivo principale che mi ha dato la forza di tornare alla Race Across America e soprattutto la sicurezza mentale di non ritirarmi per nessun motivo al mondo, poiché sarebbe stato un pessimo esempio per lui. Vederlo gioire lungo la strada facendomi il tifo era uno spettacolo!
E poi anche i rapporti umani con i componenti del mio team, che hanno confermato ancora una volta grandi amicizie e consolidato altre.
Comunque posso dire serenamente che questa quinta edizione sarà anche l’ultima. Se la RAAM fosse un essere umano a questo punto potrei abbracciarla: io e lei abbiamo fatto pace… ma non so ancora se un giorno mi mancherà oppure no!

2- Nico Valsesia se non fosse Nico Valsesia chi sarebbe?

Vorrei essere un sacco di altre cose: se non lo sono comunque è solo colpa mia… ma per questa vita mi accontento di essere me stesso 

3- La celebrità è indispensabile per gli sponsor o ne faresti volentieri a meno?

Per mia fortuna non sono un professionista ma un semplice amatore: chi mi supporta mi ha sempre fatto capire che lo fa per passione più che per promuovere il proprio brand: questo fa sì che su di me non ci sia nessuna pressione, ed è bellissimo poter fare ciò che ti piace… nel modo in cui ti piace!


4- Nico Valsesia spieghi Nico Valsesia all’uomo della strada…..(fisicamente un po’ sovrappeso e finanziariamente con una certa preoccupazione di arrivare a fine mese senza vendersi un rene)

Non mi permetterei mai di sovrappormi alla parola di chi deve spiegare a me chi è: di chi, non tanto per il sovrappeso, quanto perché ha difficoltà ad arrivare a fine me, ha molte più cose da dire. Starei io ad ascoltare lui, vergognandomi di quanto sono fortunato!


5- Come scegli un’impresa e come ti prepari cerebralmente? 

Semplice: mi viene in mente qualcosa che mi piace o che mi diverte e cerco di esaudire i miei sogni. Più che le letture, a stimolarmi può essere un semplice oggetto, tipo una scarpa da running; solo guardandola intensamente mi suscita il pensiero di dove potrebbe portarmi, su quale montagna o in chissà quale deserto…

6- Quando i tuoi figli ti chiederanno “perchè papà?”, cosa gli risponderai?

Non lo hanno ancora fatto e sono sicuro non lo faranno mai: li reputo molto intelligenti!! (probabilmente: contrariamente al giornalista che gli ha appena fatto la domanda, ndr)

7- Agli occhi di qualcuno fai imprese titaniche usando solo il corpo che ti è stato dato o quasi: lo useresti anche per un semplice, anonimo, intimo pellegrinaggio?

Le imprese titaniche sono ben altre! Senza andare lontani, basti pensare all’uomo della strada di cui parlavamo poco fa. Per quanto mi riguarda, ogni giorno è un anonimo pellegrinaggio; anche se, nel mio caso, pellegrinaggio mi sembra un termine improprio: non ho fatto nessun voto e non devo scontare alcuna pena. Lo faccio perché amo farlo, perché mi sento vivo e continuerei a farlo all’infinito. I miei figli lo hanno capito. Per questo, come dicevo, non mi chiederanno mai il perché di ciò che faccio.

8- Una domanda alla tua ufficio stampa: ma lui è sempre così?

Incredibilmente sì: un concentrato assoluto di energia, sincerità, allegria e determinazione, in qualunque situazione e circostanza. All’inizio mi era venuto il dubbio che arrivasse da un altro pianeta. Invece – mi garantiscono – è un “normale” terrestre. Sarà…


I NUMERI DELLA RAAM (così non potevate dire che non eravate stati avvisati se vi doveste iscrivere)

– Distanza totale: oltre 3.000 miglia (4.800 chilometri)
– Partenza: Oceanside (CA); 10 giugno 2014
– Percorso: da Oceanside (California) ad Annapolis (Maryland), per un totale di 12 stati attraversati
– Altitudine minima raggiunta: 52 metri sotto il livello del mare
– Altitudine massima raggiunta: 3.050 metri slm
– Il totale del dislivello positivo del percorso è di oltre 35.600 metri ( tre volte l’altitudine di volo degli aerei di linea e a oltre quattro volte l’altezza del Monte Everest)
– Sono circa 350 in tutto il mondo i Solo Racer che hanno ufficialmente portato a termine la RAAM guadagnandosi il titolo di “RAAM Finisher”
– la prima RAAM si è corsa nel 1984, dal Santa Monica Pier di Los Angeles all’Empire State Building a New York City
– quella del 2014 è stata la 33a edizione, e la 10a con partenza da Oceanside

Questo articolo è pubblicato anche dall’Huffington Post con la photogallery ufficiale.

I fantastici 5 della musica

Sono impressionanti i 5 elementi dei Pentatonix. I ragazzi compongono un gruppo vocale a cappella, cioè non usano strumenti se non quelli che la natura ha dato loro col corpo. Il risultato è notevole, da godersi fino all’ultima nota perfino nell’excursus Evolution of music con cui percorrono 900 anni di musica e totalizzano oltre 43 milioni di visualizzazioni sul loro canale YouTube. Se pensate che sia roba vecchia e già vista, è probabile che dovrete ricredervi.


Ti spaccherò le ali, ti brucerò gli occhi

Una petizione sta cercando di eliminare la peggiore pratica che l’attività venatoria italiana conosca, quella delle esche vive per richiamare gli uccelli.


La ricetta dei cacciatori è semplice: catturano uccelli vivi, li mutilano e li rinchiudono in gabbie. Qui lo scenario è da prigione medievale. Non bastano buio e prigionia, vivranno legati e a volte accecati per non distinguere il giorno dalla notte. Lo scopo? Portarli poi sulle rotte dei migratori quando apre la caccia  e usarli come richiami vivi. Ne rende bene l’idea Pecoraro Scanio.

Il Mediterraneo è un luogo di transito fondamentale per i migratori e, per la sua orografia, il nostro paese è un ponte naturale tra i continenti. Usare questi espedienti è come sparare sulla croce rossa. Si è impegnato anche lo scrittore Jonathan Franzen, appassionato birdwatcher e noto per il suo netto schieramento contro l’attività venatoria. 

Ora la petizione approderà ai nostri legislatori. La lobby degli appassionati dei fucili verso il cielo è molto forte e molto trasversale. Non condivido l’idea della caccia ad armi impari, ma conosco alcuni cacciatori che stanno attentissimi a preservare ambiente e fauna per continuare ad esercitare la loro passione. Ce la faremo a far passare il messaggio che c’è un limite? La sofferenza gratuita, no, per favore, quella mai.

Puoi fermarli, ora, se vuoi.
Questo articolo è pubblicato anche sull’HuffingtonPost.

Siamo come ulivi nodosi

Sul sentiero della vita il camminare che non stanca ma fortifica è un esercizio per lo spirito. 

Siamo come ulivi nodosi che nelle cavità ospitano le parole delle altre vite incrociate.



Bella la citazione di Alessandro Cannavò, grande camminatore, grande Amico, uno di quelli che ti auguri di incontrare su un sentiero e ancora di più ti auguri che ti dica “camminiamo insieme”.

Il pezzo è tratto dal Corriere della Sera.

Esattamente dieci anni fa decisi di affrontare il cammino di Santiago. Da solo, per vivere meglio un’esperienza privata che era molto di più di una vacanza. Ma anche aperto a ogni conoscenza. Edu, catalano, lo incontrai nella camerata dei pellegrini di Roncisvalle.

Furono le nostre mappe sulle quali studiavamo il percorso a sciogliere il ghiaccio. Lui aveva una generazione meno di me. Decidemmo, senza dircelo, di proseguire insieme. E fu così fino alla cattedrale di Santiago, condividendo fatiche, divertimento, malinconie. Attenti a essere presenze discrete nelle lunghe giornate fatte anche di silenzi; pronti a diventare un sostegno concreto per l’altro nei momenti di difficoltà. Non l’ho più visto, Edu. E anche se talvolta l’ho sbirciato su Facebook, so che non ha più senso contattarlo. 
Si rimane amici non degli amici ma dei fantasmi dei propri amici
È una delle situazioni più comuni per i viandanti che Luigi Nacci coglie in modo mirabile in Alzati e cammina, lettura tutt’altro che consolatoria sulla viandanza ma che ne diventa un atto d’amore. Nacci spiega che si rimane amici non degli amici ma dei fantasmi dei propri amici, perché gli incontri sul cammino sono scelte libere e senza fini, «nessun progetto vi legherà, nessuna gerarchia, nessun passato e nessun futuro». Basta a volte la sosta in un ostello diverso e non ci si incontra più. Un cammino che nasce dall’addio. Eppure, continua l’autore, «avete messo in comune i vostri passi» e quel fantasma con cui si è camminato sarà una presenza leggera che possiamo portare nello zaino dell’esistenza, fino a quando, almeno, prendendo una metafora del poeta Slavko Mihalic, avremo la capacità di trasformare le pipe in cigni. Triestino, Nacci è poeta, insegnante, guida naturalistica e fondatore, tra l’altro, di un gruppo di camminatori, i Rolling Claps, che riscoprono antiche vie di pellegrinaggio.
Un esercizio fisico
Ha concepito il libro come un prontuario di ginnastica dell’anima (i titoli dei capitoli scandiscono ironicamente l’allenamento, tra esercizi, stretching e riposi), ma si rivolge direttamente al lettore in modo incalzante, spesso ipnotizzante, immedesimandosi in un lui/lei che nella narrazione si intrecciano e si confondono. Molti di coloro che vorrebbero intraprendere la via di Santiago (e ora sempre di più anche l’italiana via Francigena), coscienti della sfida di un mese e oltre di cammino con dieci chili sulle spalle, le vesciche ai piedi, la condivisione delle stanze e delle docce, vivono un’urgenza privata e cercano una via d’uscita dal limbo, teatro di un malessere non sempre definito. È a loro che Nacci si rivolge principalmente, prima che lo specchio in cui ci si continua a guardare non sapendo cosa fare, «vada in frantumi». In aiuto del lettore ci sono i versi sublimi di cantori della via, da Wordsworth a Eliot, da Hikmet a Atxaga; esempi come quello del regista Werner Herzog che nel 1974 camminò da Monaco di Baviera a Parigi per andare al capezzale della sua anziana amica Lotte Eisner, confidando (a ragione) che con il suo gesto l’avrebbe trovata ancora viva. 
Contiene la leggerezza della parola «danza»
O le frequenti identificazioni nella natura: «Siamo come ulivi nodosi che nelle cavità ospitano le parole delle altre vite incrociate»; «procediamo sulla via delle nostre esistenze pesanti come elefanti, con il nostro carico di problemi e paure». Eppure gli elefanti avanzano a passi felpati come ballerine. La via da percorrere è sempre nei pressi del baratro ma la parola «viandanza», dice Nacci, nella sua fonetica desueta contiene la leggerezza della parola danza. Chi è entrato nello spirito del viandante condivide queste immagini. A patto, avverte Nacci, che una volta tornati a casa l’insegnamento del cammino dia vigore al quotidiano e non sostituisca «la vita di qua». La speranza è in un verso di Walt Whitman: «D’ora in poi non chiedo buona fortuna, sono io la buona fortuna… forte e contento percorro la strada aperta». Il libro: Luigi Nacci, «Alzati e cammina», Ediciclo editore, pagine 192, e 15
Alessandro Cannavò

Mai provato ad abbracciare un albero?

Alberi, boschi e giardini sono un tesoro per l’Italia. In passato si è scritto molto a proposito, ma L’Italia è un bosco di Tiziano Fratus va oltre il classico saggio perché è un po’ guida, un po’ racconto e un po’ manuale per presentare il lato verde del Bel Paese.

La sequoia del castello Gamba in Val d’Aosta (37 metri di altezza x 7.65 di altezza)


Dai passi alpini alle isole, alberi monumentali, parchi, giardini botanici e orti urbani sono uno spunto per scoprire che da noi la situazione del verde è un elemento rassicurante e proprio per questo deve responsabilizzarci perché non retroceda. Così si ribadisce che il bosco vergine abbandonato dall’uomo potrebbe non essere la soluzione migliore perché troppo sensibile a incendi o dissesti. Al contrario il bosco curato è stato e può continuare ad essere un elemento di vita. Inorridiranno i duri e puri dell’ambiente ma è così: “se l’uomo smette di salire in montagna (nei boschi) la montagna scende a valle (con le frane)” è un detto popolare delle valli lombarde. L’autore apre però la sua via, antichissima eppur attuale, agli alberi.

Oggi che i boschi hanno smesso di vestirci, di nutrirci, di proteggerci, sono diventati palestre dell’anima, è qui che possiamo venire ad alleggerirci, a sgrassare via il nero, l’ossessione, la furia. Provare davvero a vigilare sui nostri pensieri come un pescatore vigila sui pesci di cui si nutrirà.
In Italia s’aggirano silenziosi veri e propri cercatori d’alberi: guardano, annuiscono, misurano, documentano, fotografano, tracciano, pensano, catalogano. Sognano e realizzano nuovi strumenti per amare il paese, tracciano percorsi botanici che illuminano il paesaggio: avvicinano il passato al futuro.


Gli itinerari sono documentati con una precisione da guida escursionistica, rivelando la passione dell’autore per l’argomento. Se posso esprimere una critica – l’unica, bonaria – va precisato che si capisce subito quali sono le zone che Fratus conosce meglio e delle quali è appassionato. Qualche dimenticanza si lascia perdonare, anche perché a voler elencare tutto non sarebbe bastata una wikipedia arborea. L’autore, avvalendosi di citazioni attinte da letteratura e storia, incanta al punto da trasportare nelle oasi verdi fatte di tronchi e foglie, che in Italia, informa la sezione statistica, ammontano a circa un terzo del territorio totale. La dovizia tecnica non sconfina mai nella noia e qualche excursus di storia e filosofia arborea è una nota raffinata.

Questo libro è un invito a fermarsi e a perdersi tra i tanti boschi e parchi d’Italia, a lasciarsi andare di fronte al vento forte (…) Il bosco è un universo di significati, di citazioni, d’immagini, di sensazioni e di ricordi. È una delle parole più presenti nell’esistenza di tanti. Ma di quale bosco si parla?


Quelli nei quali ho letto il libro per scriverne sono nella vallata di La Thuile (Ao) e nel parco Puez Odle (Bz). Ma il verde non è solo nelle Alpi. Fratus non dimentica gli orti urbani (come a Torino, Milano e Genova), i giardini monumentali (da manuale quello di Villa Hanbury a Ventimiglia o all’Abbazia di Fiastra nelle Marche) o il racconto degli alberi coltivati che sono diventati compagni dell’uomo come gli ulivi e i carrubi, sculture viventi che punteggiano le campagne del nostro sud. 

La scelta di quale albero abbracciare è lasciata al lettore con l’invito di tenere queste buone pagine sul comodino o nello zaino. Come Fratus insegna, è davvero un piacere scoprire che c’è sempre un bosco o un orto che ci aspetta dietro l’angolo. Spesso per confortarci, ma qualche volta, precisa l’autore, anche per chiedere la nostra protezione.

Perché l’Italia sia un paese forestale è spiegato in un documentario dell’Ispra.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.



Se dormi nudo invecchi meno e…

Lasciar nudo il corpo dormiente è una scelta naturale che comporta alcuni benefici legati a socialità e salute. Non c’è un obbligo particolare ne un ordine da rispettare, però pare che il sonno senza la costrizione dei vestiti sia un toccasana, anche per i rapporti sessuali, oltre che per il risparmio in pigiami. 
Sulla relazione tra sonno e rapporti con il partner, un doc di Dmax potrebbe farvi scoprire qualcosa che ancora non sapete.