Nessun colpevole per la petroliera squarciata

Una petroliera si spacca come fosse fatta di lego, la chiazza di petrolio che rilascia è grande come una provincia, sulle coste della penisola iberica succede un’ecatombe alla fauna e alla flora, i danni economici alla pesca sono talmente ingenti da costringere a trasferire la flotta e… nessun colpevole!

A volte la realtà supera davvero la fantasia. Se fosse stata la trama di un romanzo, un qualsiasi editor avrebbe sostenuto la non verosomiglianza, invece

Il paradosso dell’inceneritore inutile

Ci sono parecchie enclavi italiane dell’ecologia dove si ricicla sempre di più e sempre meglio e non pensiamole tutte al nord perché nella lista fanno bella mostra anche località come Salerno e la Sardegna. Tra i virtuosi c’è anche la Brianza: la terra cantata da Stendhal rappresenta un esempio da seguire per l’attenzione di chi ci abita a distinguere e differenziare i rifiuti.

Un po’ meno virtuosa è  la scelta dei gestori del consorzio BEA (Brianza Energia Ambiente) in merito al loro inceneritore di Desio (provincia di Monza e Brianza). Il loro consiglio ha deciso, in un momento di sovracapacità degli impianti locali, di ingrandire l’inceneritore con un investimento di 32 milioni di euro per portarlo a 80.000 tonnellate annue di rifiuti da bruciare.

Spiegatemi: la logica è quella di renderlo ancora di più sovracapace? Non era abbastanza sottoutilizzato? Se già riciclo bene a cosa mi serve un forno più potente per bruciare i sempre minori scarti? L’unico a reagire con decisione è stato il comune di Desio.

“Grazie alla nostra opposizione il progetto è stato revisionato – afferma Roberto Corti, sindaco di Desio – eravamo gli unici contro e abbiamo ottenuto di andare verso un graduale spegnimento e lo sviluppo nel consorzio di pratiche come quella del compostaggio, ma con solo il solo 12,5% rappresentato dalle nostre quote nella BEA c’è ben poco da fare.”

Il territorio compreso tra Milano e i laghi ha tutti i numeri per essere valorizzato con piste ciclabili e aree verdi. Potrei sbagliarmi, ma non credo che un inceneritore rientri tra le attrazioni per richiamare il pubblico, tanto più in un’ottica di valorizzazione del territorio cornice di EXPO2015.

”È stato un colpo di mano inaccettabile, una maggioranza risicatissima di pochi ha deciso per il futuro di tutti ampliando un inceneritore forti di un’autorizzazione acquisita poche settimane prima di una moratoria Regionale che ha detto, finalmente, stop a nuovi forni – dichiara Andrea Monti, assessore al turismo della provincia di Monza e Brianza –  Un investimento utile a chi e a che cosa? I cittadini rischiano di pagare un doppio conto, ambientale ed economico, nel caso in cui il piano industriale si rivelasse insostenibile.”

Uno schema riassume brevemente perché gli inceneritori dovrebbero essere ottimizzati da una corretta gestione dei rifiuti per ridurli (e bruciarli) al minimo.

Sono brianzolo, amo la mia terra, il nostro fiume si chiama Lambro e quando sono nato non potevi immergerci un piede senza danni per la tua salute mentre ora sono tornati i pesci e posso andare in bici sulla sponda da Monza fino ai laghi. Perché devo leggere ancora notizie illogiche che mi rendono incapace di spiegare la scelta di certi amministratori? Soprattutto: perché non sono diffusi ampiamente i nomi e gli interessi di chi ha votato a favore del piano di ingrandimento? I cittadini che pedalano, immergono i piedi nel fiume e riciclano coscienziosamente hanno il dovere di sapere.

Un popolo perso tra i due mari, il Salento misterioso sulle tracce degli antichi Messapi

Questo articolo è pubblicato anche su Il Corriere della Sera

L’alba è solo una striscia lattiginosa in cui galleggia una palla infuocata. Al di qua del mare, sotto un cielo cobalto, le mura della città si colorano appena la luce inizia a gocciolare disegnando i blocchi in pietra che circondano la porta sotto l’occhio delle sentinelle. Dal porto stanno già salendo i pescatori con le casse ancora guizzanti. Nelle vie, il brusio del mercato e le ruote dei carri dicono che i contadini sono già arrivati per vendere la fatica dei loro campi. La scena è di nove secoli fa, la terra è l’estremità sud-orientale della Puglia e il popolo è quello dei Messapi. Non provo neanche a ricordarli dal libro di storia. Non ce la farei a collocarli nella geografia di quelle genti che, pur destinate ad essere assorbite nel territorio di Roma, hanno lasciato tante e tali tracce da richiamare studiosi da tutto il mondo e far appassionare i dilettanti dell’archeologia come me. C’è un fatto che però sorprende tutti. Questa terra è bella oggi come allora.

Castro è un nido di tufo sulla cima di un promontorio che affonda le radici nel blu dell’Adriatico. Per congedarsi dal corridoio blu iniziato nella lontana Venezia, ci incanta con i riflessi magici delle grotte di cui la Zinzulusa è solo la più famosa. Raggiungibile anche col mare mosso grazie a una scalinata, l’ingresso nella terra ha un che di sacrale, come se il rumore delle onde fosse lo spunto per ricordare che in questa parte dell’Italia, la distinzione tra terra è acqua è solo una formalità. Il suo nome deriva dalle numerose stalattiti e stalagmiti che nel dialetto locale sono chiamate «zinzuli», ovvero stracci. La porta che immaginiamo baciata dal sole di un mattino antico non si vede dall’ingresso della grotta, bisogna uscire e aguzzare la vista nella scorpacciata di verdi della vegetazione. I colossali massi perfettamente incastrati fanno pensare alle civiltà megalitiche di certe isole greche, Micene su tutte.

Il picchiettio degli studiosi al lavoro è solo la scusa per infilarsi tra le vie e scoprire, tra gli scorci, quel panorama che con un colpo d’occhio attraversa il mare fino all’Albania. Forse è da lì che sono arrivati i Messapi, popolo di origini illiriche. Il dubbio è d’obbligo perché, in quel meraviglioso melting pot che è il Mediterraneo, la loro origine non ha una precisa collocazione. Il toponimo Messapia fu probabilmente coniato per la prima volta dagli storici greci col significato di «terra tra i due mari » e ben si sposa con quel Salento che è davvero un ponte di olivi e vigne gettato nel blu.

Vaste è l’antica Basta di cui si rinvengono notizie nelle opere di Plinio. È uno dei siti più interessanti per la quantità e la qualità dei reperti che gli scavi hanno restituito al sole di questa terra meravigliosa. Parecchi anni di studio e molte campagne di scavo dell’Università di Lecce hanno permesso di delineare il mondo messapico pur con l’alone di mistero che lo circonda, a partire dalla complessa decifrazione di una lingua la cui pronuncia è ancora ignota. È ben chiaro che qui c’erano città grandi e ben fortificate.

Salendo sul balcone panoramico del Parco del Guerriero, nella frazione di Poggiardo, i 77 ettari dell’insediamento si leggono nelle tracce del doppio muro di pietre che conteneva il terrapieno all’epoca del massimo sviluppo, ipotizzato nel IV sec. a.C. Qui si trova anche una riproduzione dell’ingresso dell’ipogeo delle Cariatidi, ritrovato in quella che era l’area funeraria e oggi centro storico dell’abitato. Le statue originali sono al museo Castromediano di Lecce e al museo Nazionale di Taranto, ma il cinquecentesco Palazzo Baronale affacciato sulla piazza ben rappresenta esempi del tipo di reperti ritrovati nell’area. Stesse imponenti dimensioni si ritrovano anche se si procede in direzione di Lecce. Il capoluogo del Salento che conosciamo per lo splendore barocco, è città messapica. Per rendersene conto basta avvicinare il museo della città, non prima di aver però sostato a Cavallino.

C’è qui un museo diffuso che ripropone una passeggiata difficile da ripetere altrove. Incamminandosi sui tracciati si arriva alle estremità dell’antico abitato. Circondati dall’erba alta, ci si perde nel tempo scoprendo che le porte della cinta muraria hanno ancora lo scavo del passaggio delle ruote dei carri, mentre i pilastri rivelano la presenza lontana dei cardini. Il vento della piana che porta il profumo di terra e cielo pulito appiattisce gli steli ma non alza il sipario sulla contaminazione contemporanea. Il significato profondo del popolo messapico però sta più a sud. Sulla strada per Leuca c’è Tricase, il centro più grande del Capo di Leuca e uno dei più popolosi del Salento. Qui il medioevo è stato una catena di passaggi di feudo che ha lasciato un centro storico d’incanto che le guide turistiche spesso trascurano. Sedersi sul sagrato della chiesa in piazza Pisanelli e ascoltare le rondini è un inno alla vita. Non distante, in direzione del mare c’è la Quercia Vallonea.

Nell’Italia che spesso dimentica i monumenti con radici e rami, questo albero ha sette secoli e una chioma che, si dice, fu in grado di ombreggiare cento cavalieri. Arrivati a Santa Maria di Leuca, la spianata tra il santuario e il faro è un messaggio. La terra finisce, il Bel Paese è tutto alle mie spalle e non riesco a non pensare a un unico meraviglioso sentiero che inizia a Vipiteno e finisce su queste scogliere dove nidificano i gabbiani. Così mi rendo conto di cosa erano i messapi ieri e cosa siamo noi oggi. Ci piaccia o no, custodi di una porta tra le civiltà che i salentini sanno aprire per farsi trovare a braccia aperte. Tutto qui, davvero tutto, ha il sapore di un ritorno a casa.

Questo articolo è pubblicato anche su Il Corriere della Sera

Stefano Soldati e le case di paglia

E’ Stefano Soldati, nato a Milano nel ’61, che oggi è progettista e docente di quelle case tante odiate dai Tre porcellini.
“Ho studiato agraria presso la UniMi – racconta – erboristeria presso l’Università di Urbino, management aziendale presso la SDA Bocconi, e poi  biodinamica presso l’Associazione Agricoltura Biodinamica. Ho seguito stage negli Stati Uniti e in Australia, frequentato decine di corsi di formazione professionale in Italia e all’estero. Sono stato uno dei primi quattro diplomati in Permacultura in Italia. Con Barbara Jones, pioniere in Europa nelle costruzioni in balle di paglia, ho studiato in Inghilterra e Galles e imparato le tecniche di costruzione con balle di paglia, intonaco in terra cruda e calce, formandomi come progettista e docente. Poi mi sono specializzato in terra cruda presso il centro FAL e.V. di Ganzlin Germania. Insegno da diciotto anni agricoltura biologica e management aziendale, permacultura e quindi costruzioni in paglia, terra cruda e calce”.
Le case che realizza Soldati hanno i muri in balle di paglia, intonacati con terra cruda internamente e calce esternamente. “C’è chi le riveste di legno o le intonaca con cemento – agiunge –  ma in entrambi i casi le case perdono di qualità. E’ difficile da credere perchè abbiamo una tradizione del mattone e pietra passata poi al cemento armato, ma le case in paglia sono molto più sicure, sotto tutti i punti di vista, rispetto alle case convenzionalihttps://www.facebook.com/laboa.strawbalehouse
A sentire Soldati,  le prime costruzioni in paglia sono nate in Inghilterra e da lì si sono diffuse negli altri Paesi. Attualmente nel Regno Unito ci sono circa mille edifici, così pure in Francia e Germania. Altre mille tra Spagna, Austria, Slovenia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, Lituania, Svezia, Danimarca, Belgio, Olanda. Nel nostro Paese circa un centinaio.
“Nel 2003 – spiega  Soldati – ho deciso di costruire la mia casa e non la volevo in cemento armato e laterizio. Nel 2000 al corso di Permacultura avevo sentito parlare di case in paglia, ne avevo viste in Spagna e Inghilterra e avevo pure già incontratoBarbara Jones. Ho deciso per la paglia. Quando sono incuriosito da qualcosa e voglio approfondire, mi metto a studiare, frequento corsi e metto in pratica. Questo mi porta a una profonda conoscenza che spazia a 360°, supportata anche dall’esperienza. Una grande fortuna è stata quella di avere come docente Barbara che, con la sua professionalità e la sua precisione, è stata veramente di grande peso nella mia formazione. Ho fatto tutto il percorso formativo, che è durato un paio di anni per diventare progettista e docente. Il corso prevedeva incontri teorici in aula, ma, soprattutto molta pratica sia in cantiere con maestranze sia con corsisti per praticare anche l’aspetto didattico”.
Sono più economiche le case in paglia?
Costruire con la paglia può essere più economico, se alla base c’è un buon progetto. Purtroppo in Italia è ancora difficile trovare dei buoni progettisti in grado di fare una progettazione specifica per la paglia. Si tratta in genere di professionisti con formazione ‘convenzionale’, che cercano di cavalcare l’onda alternativa. La costruzione con la paglia prevede dettagli e particolari spesso molto lontani da quanto ci hanno insegnato a scuola, ma che tutti insieme fanno una grande differenza nel risultato finale e nei costi. Oggi stiamo proponendo edifici abitativi in classe A+, con finiture di buona qualità, chiavi in mano a 900euro/mq. Questo importo si può ridurre abbastanza se si fanno in ‘autocostruzione’ il posizionamento delle balle di paglia, gli intonaci, i pavimenti e almeno parzialmente gli impianti. In questo modo siamo arrivati a cifre vicine ai 500euro/mq. Il consiglio che rivolgo ai progettisti? Studiate, formatevi, frequentate corsi teorico-pratici, fate pratica prima di imbarcarvi nella progettazione/costruzione di un edificio.
Sono calde d’inverno e fresche d’estate?
Se ben progettata una casa in balle di paglia può non aver bisogno di riscaldamento o raffrescamento. Ci sono case solari passive nel nord della Scozia e del Canada, sulle Alpi Svizzere con temperature che arrivano  a – 30°C, ma anche nei deserti in Australia, Messico, dove in estate si raggiungono anche i 50°C. Se non progettate secondo i principi della bioclimatica, le case possono richiedere comunque quantitativi minimi di energia. Ciò dimostra che questa tecnica si applica con successo in tutte le condizioni climatiche.
Quanto è stato faticoso parlare di casa di paglia in Italia?
In Italia non è stato difficile far partire dei corsi, abbiamo sempre avuto buone adesioni. La difficoltà principale la segnalano gli utenti, che oggi trovano su internet un’offerta formativa diffusa e non hanno strumenti per fare scelte appropriate. Purtroppo, ci sono molte persone che, dopo aver frequentato un corso di tre giorni con noi, si sono improvvisate docenti, organizzando a loro volta corsi di formazione. Fare formazione senza conoscere in modo approfondito le tecniche costruttive e di insegnamento fa scadere la qualità degli edifici realizzati. I corsisti spesso non se ne rendono conto. Si vedono su internet fotografie di edifici realizzati durante corsi che hanno non pochi punti critici, nascosti con un bell’intonaco. Il mio consiglio? Rivolgersi a un progettista che abbia frequentato dei corsi seri e abbia formazione specifica sulla paglia. Questo influirà positivamente sia sui costi sia sulla qualità finale. A questo scopo consiglio anche di farsi fare almeno tre preventivi da tre professionisti diversi.
Il suo rapporto  con le lobbies del cemento armato?
Non abbiamo avuto problemi, anzi abbiamo avuto buoni rapporti. In un momento di crisi totale per l’edilizia convenzionale questa tecnica alternativa potrebbe portare una boccata di ossigeno non solo per il pianeta, ma anche per i costruttori. Molti giovani progettisti sensibili ai temi ambientali si stanno avvicinando con grande soddisfazione a questo settore in forte crescita. Per questo motivo stiamo anche mettendo a punto per il 2014 un corso online a basso costo, ma di altissima qualità con il supporto dei maggiori esperti mondiali sulle costruzioni in paglia, specifico per progettisti con teoria e stage pratico finale. Alla fine del corso verrà rilasciato un diploma e il progetto finale potrà essere pubblicato per essere venduto. 
La sua casa com’è?
La mia casa è stata la prima in Italia ad avere la balla di paglia non solo come isolante, ma anche come elemento costruttivo. Esiste una struttura a telaio, ma gli elementi murari sono in balle con gli intonaci in terra cruda e calce, applicati direttamente sulla paglia. È un edificio di quasi 400mq. su due piani.
Per chiudere, i tre porcellini non avevano capito niente?
Esatto. La morale della favola dei tre porcellini sa qual è?
Prego
Non permettere che sia un porcellino a costruirti la casa.
(Cinzia Ficco)
Questo articolo di Cinzia Ficco, che ringrazio, è tratto dal suo blog TipiTosti.

Il baciare che fa bene

Gli psicologi della Oxford University si sono messi a studiare i baci. La notizia non passa inosservata. Baciare piace a quasi tutti e la specie umana è una delle poche, qualcuno sostiene l’unica, a farlo. Gli studiosi inglesi hanno cercato di capire perché.
L’equipe guidata dal professor Wlodarsky propone almeno tre risposte.

Innanzitutto potrebbero essere un preludio al sesso per aumentare l’eccitazione. Parrebbe valere sempre per gli uomini, un po’ meno spesso per le donne. Interpellato nel campione statistico della ricerca, il gentil sesso sostiene di preferire il gesto del bacio dopo l’amplesso. La seconda ragione è quella legata all’affetto: ci si bacia per dimostrare che ci si vuole bene. La radice preistorica, sempre per gli studiosi, è quello dell’accettare di esporsi ai rischi e dimostrare in pubblico il legame di coppia. La terza ragione sarebbe una sorta di analisi sensoriale per la quale si bacia ciò che si vuole conoscere meglio, come volendone assaggiare il sapore.

Per gli amanti della pratica, la ricerca fa emergere elementi molto concreti sul bacio:
-migliora l’umore, perché abbassa il livello di stress,
-rinforza le difese immunitarie, grazie ai 60 milioni di batteri presenti nella saliva e agli anticorpi,
-fa bene al cuore, aumentando la pressione,
-mantiene in forma, coinvolgendo la bellezza di 29 muscoli.

Tutte le ragioni dei benefici affonderebbero nel lontano passato dell’uomo e nel percorso che ci distingue dagli altri esseri viventi.
La componente sensoriale è quella che mi incuriosisce di più. A volte ci si bacia, o si simula il bacio con lo sfioro delle guance, per stabilire un atteggiamento di benevolenza. Mi viene in mente come si usmano i camosci, per intenderci: si cerca qualcosa che piace o non piace nell’altro. Se ci pensiamo c’è dunque una forte componente ecologica nel bacio. Con la sola eccezione di Giuda, che fece del bacio una mera fase di transazione commerciale, ci si bacia anche per studiarsi e andare oltre le apparenze degli abiti e delle abitudini. L’abito non fa il monaco e il bacio aiuta a capirlo meglio.

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.

Per protesta inchioda i genitali sulla Piazza Rossa

Per protestare contro lo stato di polizia, il russo Pyotr Pavlensky ha scelto un gesto eclattante con lo strumento più naturale di cui disponesse, il suo corpo.

Spero di cuore che si parli di lui e che non finisca ingoiato dalla macchina repressiva di Putin. Il video non ha bisogno di commenti. Qualcuno può aiutarmi con il capire le parole del poliziotto?
Per la cronaca: Pyotr non è nuovo a denunce di questo tipo. Non conosco esattamente il confine tra la protesta e l’esibizionismo, ma sicuramente a questo ventinovenne va riconosciuto un notevole coraggio.

La prossima volta che ti sorpassano…

… tieni presente che il Tazio Nuvolari che ha iniziato a farti i fari da due caselli indietro potrebbe non conoscere la meccanica quantistica. Probabilmente neanche voi, sicuramente neanche io, ma qui c’è qualcosa che sarebbe utile sapere, doveste magari incrociarlo all’autogrill successivo o piantato su un guard rail che gli avete augurato tagliarli la strada all’improvviso.

I rischi del satellite in caduta

Rientra il satellite Goce e potrebbe non essere un impatto morbido. E’ possibile seguire la traiettoria del marchingegno sui siti collegati all’ESA. Gli esperti “rassicurano” che il frammento più grosso non dovrebbe superare i 250 kg e che le possibilità di essere colpiti “sono 250.000 volte inferiori alle possibilità di vincere il primo premio della lotteria”.

Fico! Non ho mai vinto nulla e non vorrei essere così fortunato da vincere per la prima volta qualcosa che pesa come un motore d’auto e che, soprattutto, mi colpisca all’improvviso. Almeno se compro un biglietto, sono io che accetto il rischio di vincere, ora non ricordo di aver partecipato alla lotteria con in palio un frammento spaziale. Sappiamo tutti che oggi i satelliti sono indispensabili, ma non si potrebbe adottare qualche precauzione per azzerare i rischi?

Per il turismo, meglio la Nigeria dell’Italia

Provo a descrivere lo scintillio della più prestigiosa fiera del turismo sul pianeta, il WTM (World Travel Market) appena concluso a Londra. Due giganteschi padiglioni che nel grigiore novembrino sul Tamigi sfavillano in una fantasmagoria di colori con gli stand degli espositori che gareggiano al design più accattivante. Tutti gli espositori? No, purtroppo.

Siamo la nazione del buon gusto, ma quando arrivi nello spazio del Bel Paese trovi un brutto, bruttissimo stand. Vorrei davvero conoscere chi è il genio che ha progettato l’allestimento (uguale da almeno sei anni, posso dimostrarlo) perché se anche lui arriva dal paese di Michelangelo, Raffaello e Caravaggio, del nostro paese deve avere preso la parte peggiore. Signori organizzatori: il turismo è il nostro petrolio, perché lo diamo via in barattoli arrugginiti?

La pessima presentazione in contraltare agli arrivi pur sempre lusinghieri, conferma però che siamo un paese ambito e meraviglioso. Non oso immaginare come lieviterebbero gli arrivi se solo imparassimo anche a presentarlo. Lo dimostrano i riconoscimenti.

Nonostante tutto, infatti, il popolo dei viaggiatori continua a venire e a premiarci. A fine manifestazione c’è stata l’assegnazione degli awards, dove la Liguria l’ha fatta da padrona con la vittoria di Genova come miglior destinazione di tappa crocieristica e le nomination del capoluogo per la categoria “City break” e di Sestri Levante per la categoria “Room with a view”.
Nessun cenno all’Etna neo componente nella lista del Patrimonio Unesco delle natura, nessun cenno al tour delle Ville Medicee, ancora riconosciute dall’Unesco, questa volta nel world heritage per la cultura. Povera Italia.

Sarà contento Andersen che proprio a Sestri trascorse una parte della sua vita. Un po’ meno io che, pur gioendo per la Liguria, mi rammarico perché vivo nel paese più bello del mondo ma quando si tratta di presentarsi alla fiera più importante del mondo siamo sotto i livelli della Nigeria (anche qui, posso dimostrarlo).

Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.