Ok, Schettino e la vergogna di parlare la sua stessa lingua. Poi?
Di fronte alle immagini del recupero non ho potuto che elogiare la professionalità della squadra, però confesso che tenevo tutte le dita incrociate. Nel mio post precedente ero cosciente della professionalità di chi era coinvolto (cito dal pezzo: “fanno cose straordinarie, dico davvero”), auspicavo la bontà del manufatto (“spot favoloso per la Fincantieri che l’ha costruita”) e dichiaravo il risultato che tutti speravamo (“Per il bene della natura isolana, spero che lo sfidante recuperatore vinca”). Ora il risultato del lavoro è lì da vedere. Ma non è finita qui.
Senza disfattismi o minimizzare, era e rimane comunque lecito porsi delle domande. È catastrofismo? No, realtà. Una necessità umana quella di puntare al meglio (cito uno dei miei critici, che ringrazio: “Operazione recupero effettuata”) rimanendo però pronti anche al peggio, perché alla Natura le stiamo combinando sempre più grosse e queste operazioni sono un esempio di come potremmo (dovremmo) arginare lo scempio che qui, per bravura (lo dico ora ora che la vedo facendo i complimenti al lavoro di squadra) e fortuna non si è manifestato.
Mi rimane un dubbio sul fatto del grattacielo che hanno raddrizzato al Giglio: lì parlano i dati. Ha davvero senso costruire queste città galleggianti quando la loro unica ragione di esistere è rispettare le economie di scala delle compagnie di crociera? Ho ben impresse le immagini di questi colossi galleggianti con gli scatti di Gianni Berengo Gardin. Non essendo un commissario tecnico, un esperto di marketing, o un allenatore di calcio (le categorie in cui molti italiani si riconoscono, ma io no perché farei solo casini) lascio la risposta al buon senso.
Prima o poi dovremo responsabilizzarci sul fatto che le operazioni davvero di successo sono quelle che il danno lo prevengono anziché ripararlo. E che, soprattutto, non tutto si può riparare e risarcire, perché non siamo (ancora) in grado di bere o mangiare i soldi.