Se un giorno un appassionato di letture dovesse consigliarvi un libro scritto da un entomologo sulle mosche di un’isoletta del Baltico, aspettate a ridergli in faccia. L’arte di collezionare mosche sembra il titolo di un libro che invita ad armarsi di retino e iniziare a catalogare serfidi. Ecco, forse in parte lo è. Gli entomologi italiani lo definiscono “un biglietto per alcune ore di intenso piacere“, ma si sa, giocano in casa. Per chi scrive è invece una lettura molto ispirante che trasforma l’attività dell’autore in una porta per il mondo e che induce almeno tre riflessioni.
La prima. Un fazzoletto di terra di 15 chilometri quadrati – Runmarö, a Est di Stoccolma – come quello dove si è rintanato l’autore può essere l’isola più pallosa del mondo se vi accontentate del superficiale. Diventa invece un mondo intero se ci si abitua ad osservare il molto piccolo, pratica che a un entomologo come Fredrik Sjöberg riesce evidentemente facile. Ma l’autore non è solo un entomologo tra i principali esperti al mondo in mosche, ma un fine narratore.
Qui arriva la seconda riflessione, il soggetto è anche un acuto catalogatore di fotografie di paesaggio e ritratti di personaggi noti e meno noti. Da Bruce Chatwin al naturalista Malaise. Riesce a raccontare scorci di vita come il caso di un Rembrandt scomparso con altre tele e un cesso a due posti ritrovato in un rudere. Scenette dipinte con la stessa forza. Tanto per dare un’idea della fecondità del personaggio, sappiate che tre sue teche sono state esposte anche alla Biennale d’Arte di Venezia. Non male se si pensa che la mosca è mediamente un animale associato agli escrementi. Perfino sul tema – cacca! – Sjöberg riesce a mettere mosche e narrazione in una forma di racconto che attrae, viaggiando nel tempo e nello spazio.
Bella Mosca, dal comportamento capriccioso. Probabilmente ha avuto problemi di sopravvivenza perché da tempi memorabili, forse milioni di anni, la sua strategia è stata di farsi passare come una pecora travestito da lupo, per il fastidioso Oestrus bovis. Sono davvero molto simili. Una mucca non nota nemmeno la differenza, come del resto nessun altro. C’è solo un problema: che alle nostre latitudini lo Oestrus bovis visse e si estinse un sacco di tempo fa. E così se ne è andata la protezione della somiglianza. Forse è per lo stesso motivo che restiamo sbigottiti davanti ai colori di certi insetti, talmente bizzarri che non sarebbero venuti in mente a un surrealista drogato: è possibile che non siano altro che imitazioni di qualcosa che non c’è più. Spiegare la rarità è un’arte, né più né meno. A volte non si riesce a sottrarsi alle domande dell’osservatore casuale senza ripetere la storia del raro scarabeo stercorario dell’Himalaya, animale che un tempo prosperava tra i maestosi mucchi di letame dei mammut, ma che ora deve tirare avanti, come un principe russo in esilio, con i miseri escrementi degli yak. Quanto più ci penso tanto più sono convinto che sia stato un grande errore sostituire “storia naturale” con l’arido termine di “biologia”
Concludo con il terzo elemento. Potete tranquillamente fermarvi qui se non siete appassionati di documentari. Non lo avete fatto! Quindi eccovi una chicca dell’autore sul tema della natura mostrata in tv e nei film. È un testo che che passerò a tutti i colleghi documentaristi e a quelli che si rivolgono a noi con un sospirante “beato te che sei sempre in giro”. In poche righe, Sjöberg racconta l’arcano di come la telecamera renda favoloso il nostro lavoro quando invece…
La foresta tropicale è al suo meglio in televisione. Certo può succedere che la giungla sia bella e piacevole anche vista da vicino, nella vita reale, ma credetemi: di solito si presenta come un’orgia disgustosa in cui tutto punge e morde, i vestiti si incollano al corpo come pellicole di plastica. Il sole non lo si vede nemmeno, perché la fitta vegetazione si inarca in una volta, come un umido soffitto di cantina, sopra il sentiero trasformato degli acquazzoni in un rigagnolo scivoloso dove soltanto le sanguisughe si trovano a loro agio. Le zanzare portatrici di malaria sferrano i loro attacchi e il solo pensiero del morso dei serpenti, delle gambe rotte e della dissenteria fa sprofondare l’umore come un sasso nell’acqua. Tanto più se la distanza dalla strada più vicina viene misurata in giornate di cammino, il che ai tropici avviene spesso, e di conseguenza i visitatori nordici, all’inizio così ostinatamente assetati di avventura, se ne stanno ore lui al buio, sul terreno fradicio e marcio della foresta tropicale, scoraggiati, disperati, a parlare quasi esclusivamente della consistenza dei loro escrementi, e per il resto incapaci di formulare altro che pensieri elementari. Portatemi via di qui. Datemi una birra.
Sarà anche un parere partigiano, ma consiglierei questo libro se anche fosse stato di questa sola pagina.
Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.