Sono sempre stato affascinato da un certo tipo di sacerdote, quello che non ha paura di sporcarsi le mani, in una missione oltremare come nei quartieri più critici delle nostre città. Nel 2008, l’indimenticato Candido Cannavò pubblicava Pretacci, storie di uomini che portano il vangelo sul marciapiede.
Ho chiesto al figlio Alessandro di raccontarmi cosa avesse spinto papà ad abbandonare per qualche ora il tempio del giornalismo milanese per dedicarsi a quei sacerdoti che al pulpito e alle speculazioni teologiche hanno preferito l’impegno nelle zone più difficili del nostro paese, in aree dove perfino le forze dell’ordine hanno difficoltà a muoversi.
«Candido ha sempre avuto una particolare attenzione per le fasce più deboli, gli emarginati, gli invisibili – dice Alessandro Cannavò – Da direttore della Gazzetta ha spesso coinvolto i campioni dello sport in iniziative sociali. Non era mosso solo da una spinta etica, sapeva col fiuto del giornalista di razza che le loro storie sono dei veri tesori di umanità.
Con questa convinzione si è avvicinato ai pretacci, affettuoso e ironico dispregiativo per definire i preti in prima linea nell’affrontare le emergenze sociali. Papà non era religioso ma ammirava quel volto del cristianesimo che affonda ogni giorno le mani nella melma della violenza, delle sopraffazioni, dell’indifferenza e della miseria materiale e morale per estrarre il buono che nonostante tutto esiste e che può crescere.
È una chiesa che non ha paura, forte della consapevolezza di essere portatrice della parola e dell’esempio di Gesù Cristo. Un mondo, quello dei pretacci, che ha raccontato andando in giro per l’Italia con il taccuino in mano e l’entusiasmo di un giovane cronista. Ho un solo rammarico: che mio padre sia morto prima dell’arrivo di Bergoglio. Avrebbe vissuto questo pontefice come una vittoria personale.»
Proprio Papa Francesco, con l’enciclica Laudato sì del 2015, prende una posizione ferma sull’ecologia, non solo quella delle bandiere ambientaliste, ma quella integrale per l’equità verso i poveri, l’impegno nella società, naturalmente anche quella per la Natura. Con il titolo è preso in prestito dal Cantico delle creature di San Francesco, il pontefice chiede per la nostra terra, “casa comune” maltrattata e saccheggiata, una “conversione ecologica” e un “cambiamento di rotta”.
Oggi esce Preti Verdi, l’Italia dei veleni e i sacerdoti-simbolo della battaglia ambientalista.
Mi piace pensarlo come il passo di un unico percorso iniziato dai primi missionari. Mario Lancisi racconta le storie di dieci sacerdoti combattenti che predicano e agiscono per terra, acqua e aria pulita, elementi indispensabili per la salute e il lavoro. L’Italia dei veleni è colta da diverse angolazioni, quelle che hanno riempito pagine di giornali e che rievocano nei nostri occhi animali agonizzanti, bambini ammalati, terra marcia.
La geografia degli orrori non ha purtroppo bisogno di presentazioni. Ritroviamo l’ILVA di Taranto, il petrolchimico di Augusta, la famigerata terra dei fuochi, l’eternit di Casale, l’inceneritore di Brescia, il cemento selvaggio del Veneto. Se l’Italia vista da Capri, dal Canal Grande, dai Fori Imperiali, dalla cupola del Brunelleschi ci rende orgogliosi, quella vista dai campanili di Don Albino Bizzotto, Padre Guidalberto Bormolini, Don Michele Olivieri, Padre Maurizio Patriciello, Padre Nicola Preziuso, Don Palmiro Prisutto, Don Marco Ricci, Don Gabriele Scalmana, Don Giuseppe Trifirò, Padre Bernardino Zanella, ci fa vergognare, increduli che si tratti dello stesso paese.
Ho volutamente citato tutti questi sacerdoti perché possiate cercarli in rete e incuriosirvi. L’autore ci aiuta a fissarli nella memoria perché se ne possa parlare. È giustissimo che l’ecologia ci racconti di balene e delfini da proteggere, ma c’è un mondo che in parallelo non possiamo dimenticare e che forse deve toccare la nostra coscienza prima di ogni altro aspetto, perché il male lo abbiamo in casa. Preti verdi serve a questo.