Melendugno, un angolo di Salento dove il mare ricama tra le scogliere strisce di sabbia dall’acqua cristallina, il depuratore non scarica in mare i reflui ma utilizza la fitodepurazione in zone umide interne in cui fanno tappa gli stormi migratori, la pineta lambisce il paese sul quale sventola la bandiera blu facendone una perla del turismo pugliese. Bello vero?
Ora resettate. Melendugno, terminale costiero di arrivo del gasdotto intercontinentale TAP (Trans Adriatic Pipeline), di cui sono iniziati proprio ieri i sondaggi. Bel cambio di prospettiva, non trovate?
La società incaricata dichiara che tutto il processo ha seguito l’iter burocratico previsto. E ha ragione. Ma siamo sicuri che valga la pena sconvolgere per qualche anno il tratto di costa, costruire la struttura (anche se, garantiscono dalla società, avrà un basso impatto) e fare di un pezzo di Salento un terminale per risorse energetiche non rinnovabili provenienti dal Mar Caspio e dirette poi verso l’Austria (l’hub di distribuzione del gas è oltralpe) ?
La maggioranza dei sindaci si schiera a fianco al comitato NO-TAP e ha commissionato un’indagine a personale tecnico competente in materia. Ho potuto intervistare uno dei componenti della commissione.
«Ci sono diverse ragioni che dovrebbero scoraggiare l’approdo del gasdotto qui – sostiene l’ingegner Alessandro Manuelli – Dal punto di vista morfologico, la scarpata marina che fronteggia la costa obbliga l’aumento della pressione del gas nella condotta il cui diametro sarà di un metro. La zona è ricca di Poseidonia alla base della catena alimentare marina. L’area è ad elevato rischio sismico. Non bastasse: non è stato stilato nessun piano dei rischi né un albero delle conseguenze in caso di incidente.»
Rincara la dose il comitato NO-TAP, nel quale affermano che, stando ai piani pubblici visionati, sarà sbancata un’area di pineta e parecchie centinaia di olivi secolari per nascondere sotto terra il danno ambientale di una condotta. Come dire: per non farmi un danno alla mano, me la taglio. Il problema è la sfumatura decisionale che passa dal NO secco locale all’approvazione romana dell’opera, definita “strategica”. In molti, nel Salento, si domandano peraltro come mai i sondaggi di compatibilità si effettuino solo ora, a progetto presentato. Le perplessità ci sono anche sul piano socio-economico.
«Non possiamo venderci oggi il futuro dei nostri figli – dichiara la giornalista Carmen Mancarella – qui c’è gente che vive di turismo e in molti hanno scelto di non emigrare per investire nella nostra terra, farne un mestiere per portare qui gente e condividerne la fortuna di un ambiente con tutti i numeri per fare turismo di qualità. Non voglio andare a fare la cameriera in Australia dopo che mi sono battuta per promuovere la mia regione sperando di costruire un futuro per Salvatore, Carlo e Giuseppe, i miei figli».
Signori politici di Roma e signori Tap, in un’epoca dove si punta sulle fonti energetiche rinnovabili, non posso non condividere questa posizione.
Siamo sinceri: andreste mai al mare in un posto sul cui depliant ci fosse scritto “mare blu, scogliere suggestive, campagne con ulivi secolari e un nuovissimo gasdotto intercontinentale”? Piuttosto, senza estremismi: poco più a nord verso Brindisi c’è una centrale a carbon fossile. Non si potrebbe variare di qualche grado l’inclinazione del gasdotto nel punto in cui si immerge in Albania e farlo spuntare là dove si potrebbe sostituire il carbone col gas e trasportare poi energia anziché combustibile? E poi, in ogni caso, mi piacerebbe dare un’occhiata all’analisi costi benefici, per capire anche quanto costa il tutto e quali saranno i vantaggi reali.
Se mi domando chi a Roma ha analizzato l’opera, temo di conoscere la risposta. Signori, una preghiera, prima di ogni futura decisione, fatevi un giro in Salento. Sono certo che vi basterà affacciarvi alla scogliera per capire tutto.
Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.