Il libro del presidente uruguayano José “Pepe” Mujica sta scuotendo parecchi animi. C’è chi, percorrendo la strada indicata dal naturalismo di Latouche, condivide l’idea che la crescita non debba più essere vista come sinonimo di benessere e di migliori condizioni di vita. Ma c’è anche chi non crede che nella decrescita ci sia l’unica risposta per ristabilire un rapporto equo tra uomo e natura.
Quest’altra parte della barricata vede nella decrescita “una boiata pazzesca”, citando un articolo di Simone Paliaga che, dalla pagine di Libero, etichetta i principi della “decrescita felice” come semplici luoghi comuni radical chic. Per Paliaga, il capitalismo è l’unica ancora di salvezza. Si allineano su questa visione i saggi di Luca Simonetti Contro la decrescita. Perché rallentare non è la soluzione e di Chicco Testa Contro (la) natura. I due autori si oppongono convinti ai teorici della decrescita felice, puntando il dito contro chi vede nel consumare meno un conseguente miglioramento delle condizioni di vita per l’uomo. Secondo Simonetti consumare meno non ci mette automaticamente nella condizione di consumare meglio, con la storia che ci dimostra in modo evidente come quantità e qualità siano strettamente legate. “La qualità costa e i poveri tendono a consumare non solo meno ma anche peggio dei ricchi” scrive Simonetti, obiettando ai teorici della decrescita felice l’ostilità ad ogni forma di industria, di tecnica e di progresso. Sembra quasi che l’obiettivo dei sostenitori della decrescita sia quello di tornare ad uno stato “primitivo”, opinione che riprende anche Chicco Testa nel suo saggio quando, in modo sarcastico, banalizza le ambizioni primitivistiche.
È bellissimo vedere avanzare una tromba d’aria ma protetti dalle vetrate di un hotel extra lusso come è pregevole ammirare una tormenta di neve al tepore di un albergo aspettando le sciate dell’indomani … Non esistono equilibri ecologici che prescindono da equilibri sociali e dalla soddisfazione dei bisogni umani
Certi scenari sono sicuramente incondivisibili da pescatori che devono affrontare una tempesta in mare aperto o dai contadini che in una tromba d’aria vedono la minaccia del raccolto. Di fatto, trovo sorprendente la conversione a 360° dell’ex dirigente di Legambiente. Leggendo tra le righe sembra che la natura e l’uomo non possano avere un rapporto di reciproco rispetto, essendo l’essere umano spinto al progresso e quindi impossibilitato a ritrovare condizioni di vita ormai lasciatosi alle spalle. Dichiarazioni semplicistiche e stereotipate oserei dire, che non tengono in considerazione il vero obiettivo della decrescita felice, ovvero quello di raggiungere benessere e miglioramento delle condizioni di vita abbassando i consumi e utilizzando (magari anche ri-utilizzando) quello di cui abbiamo veramente bisogno, senza eccessi.
Gli autori dei saggi forse confondono troppo semplicemente il progresso con il voler fare soldi a tutti i costi. Sostenere la decrescita felice non vuol dire essere dei nostalgici bucolici, così come non significa tornare alla preistoria perché stressati dalla vita quotidiana. Piuttosto significa cercare di ristabilire quel rispetto reciproco tra noi e l’ambiente che ci circonda e che ci stiamo giocando. Ma soprattutto significa capire che c’è bisogno di una svolta altrimenti, tra pochi anni e con questo tasso di sfruttamento delle risorse, potrebbe non esserci più nulla su cui discutere. Per intenderci, non potremo dire “Ops, ci siamo sbagliati, le foreste ci servivano per respirare” quando non avremo più le foreste. Per dirla con le parole di Kenneth E. Boulding:
Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista
Questo pezzo è stato scritto con la preziosa collaborazione del collega Lino Cassese e pubblicato anche sull’Huffington Post.