Si è spento Franco Zeffirelli. Da qualche ora si leva un coro di voci a celebrarne giustamente la figura umana e di artista. Nel suo caso credo coincidessero. Vorrei unirmi a chi lo ricorda aggiungendo qualcosa che difficilmente leggerete altrove.
Dobbiamo ringraziarlo non solo come regista ma anche come partigiano e, se vi sta a cuore il rispetto dei diritti, anche per non aver avuto paura ad ammettere la propria omosessualità in un mondo e in un’area politica (il centro destra) dove il coming out – mi perdoni, Maestro, lei non avrebbe accettato il termine – non è affatto scontato.
Ho contattato Zeffirelli dopo aver letto una bella intervista di Antonio Gnoli per Repubblica. Affatto banale, raccontava lucidamente la storia di uno che, contro i numeri e le probabilità di farcela, riuscì a diventare qualcosa di vicino a una leggenda. Il Maestro – non gli dispiaceva farsi chiamare cosí – stava già male e chi rispose alla mail con la richiesta di intervistare a mia volta il regista declinó gentilmente.
Da anni seguo un progetto per realizzare un documentario sui partigiani e le partigiane omosessuali. Incontrare Zeffirelli mi sarebbe stato utile perchè, tra i grandi italiani, fu uno dei pochi a parlarne. Non essendoci arrivato, non mi rimane dunque che attingere a quel documento del 2013. Gnoli chiese se l’Italia provinciale della sua adolescenza gli stava stretta.
«Non lo so – rispose Zeffirelli – Ciò che a un certo punto avvertii fu il rigetto del fascismo. Improvvisamente vidi nel Duce un pagliaccio e me ne resi conto con dolore, perché fin da bambini eravamo stati nutriti con quel latte lì. Scoprire che era acido fu una grande delusione. Tutto questo agevolò la mia scelta partigiana. Vidi cose terribili, sentii l’orrore della guerra e capii quanta gioventù fu sacrificata. Ma al tempo stesso si aprì un capitolo straordinario della mia vita (…) Scoprii l’amore. Feci la mia conversione sessuale lassù, in montagna. In quegli aspri momenti con la morte che incombeva mi si rivelò l’uomo in tutta la sua straordinaria bellezza. Fu una reazione istintiva, un risveglio, un’attrazione spontanea. Non era solo innamoramento per un corpo maschile, ma sentire una diversa spiritualità».
Zeffirelli non amava affatto il termine gay. «Una parola che odio, offensiva e oscena», dichiarò in un’altra intervista. Si definiva omosessuale e ammetteva di essere stato sempre discreto nel vivere la sua sessualità, fin dal momento del suo primo rapporto con un compagno di liceo, a cui attribuisce una data precisa perché fu il giorno della morte di Pirandello, nel 1936.
Sono passati anni da quelle dichiarazioni. Forse oggi, chissà, certe prese di posizione azzardate a cui abbiamo assistito gli avrebbero fatto cambiare opinione su un termine che vuole essere inclusivo e non osceno. Lui, che di figli ne ha adottati due, avrebbe avuto forse qualcosa da ribattere alle dichiarazioni del ministro Fontana.
Nessuno ce lo dirà mai, e non ci rimane che scrivere un grazie, comunque, per l’esempio e per aver condiviso un pezzo di storia che rende giustizia a decine di italiane e italiani che hanno combattuto per i diritti di tutti.