Settimana scorsa si è tenuta a Malta la conferenza Our Ocean, promossa tra gli altri dalla Commissione Europea. Ho aspettato a scriverne per vedere cosa ne sarebbe uscito e soprattutto cosa avrebbe implicato per il portafoglio Ue. Le cifre: 550 milioni di Euro stanziati direttamente con una stima di 6 miliardi globali annunciati a fine lavori dalla Commissione e dagli altri soggetti pubblici e privati provenienti da più di 112 paesi di tutto il mondo. Una enorme quantità di denaro che si spera sia gettata in mare, ma non nel senso peggiore.
Inquinamento, aree protette, sicurezza, sostenibilità, cambiamento climatico, la lista completa di impegni è lunga. Ma non è niente rispetto al problema chiave: consideriamo gli oceani come la nostra cloaca ultima. Continuiamo a comportarci a livello globale come se fossimo in un “Wc”, con lo scarico da azionare. Ma lo scarico non c’è e prima o poi rischiamo che l’ondata ci cascherà addosso.
Non sarà neanche troppo nera a giudicare da quanta plastica colorata galleggia al largo. Un breve filmato tra quelli diffusi in occasione dell’incontro è esauriente per come si stanno desertificando le barriere coralline.
Potremmo aggiungere le isole di plastica grandi come nazioni che galleggiano nei mari e gli spargimenti di monnezza che alcuni stati continuano a rovesciare in acqua. La lista è lunga e se alcuni temi di ecologia sono controversi – il cambiamento climatico spacca il mondo degli scienziati – il danno che stiamo perpetrando al nostro cuore blu è sotto gli occhi di tutti, da vedere e da toccare.
Speriamo di vedere presto in azione i milioni. MI basterebbero piccole azioni concrete a iniziare dalla sensibilizzazione degli stati “zozzoni” e dal perseguimento dei responsabili di eco-crimini. Almeno per non dovere più assistere a certi spettacoli come quello della foto che ha vinto il World Press Photo 2017 per la natura. Sarebbe davvero imbarazzante spiegare ai nostri nipoti con quale coraggio abbiamo permesso che una delle specie più protette del mare fosse tristemente addobbata in una rete.
Questo articolo è pubblicato anche sull’Huffington Post.