Un destino controverso quello del sito archeologico alle falde del Vesuvio. La mostra Vita e morte a Pompei ed Ercolano sta letteralmente sbancando al British Museum classificandosi il terzo evento più visitato di sempre dopo Tutankamon e i guerrieri cinesi. Merito del marketing della struttura museale ma soprattutto del brand “Pompei” che è sempre in grado di richiamare l’attenzione del pubblico. Ne sanno qualcosa anche alla BBC, dove non hanno esitato a produrre un documentario di un’ora sull’ultimo giorno di una delle città più fiorenti della civiltà romana.
Per contro, quello che è il principale sito archeologico italiano e tra i più importanti al mondo non cessa di essere minacciato dal degrado degli agenti atmosferici, dalla carenza di personale e dell’abusivismo edilizio. Pur in tempi di spending review, sembra che ci stiamo dimenticando della responsabilità di una città fantasma consegnata a noi intatta dalla disastrosa eruzione del 79 d.C. Con le cose che vanno avanti così è un po’ come se la catastrofe fosse successa inutilmente.
Il campanello d’allarme lo ha fatto squillare, non fossero bastati crolli e incuria, l’UNESCO. Al governo italiano è stato imposto un ultimatum: entro il 31 dicembre ha tempo per adottare le misure idonee relative alla situazione di Pompei. Poi la commissione ne trarrà le conseguenze.
Non posso non pensare a una equazione mancata: sbanchiamo a Londra e in Italia non riusciamo a strutturare in modo efficiente una realtà che, analogamente ad altri musei del mondo, potrebbe quasi mantenersi da sola. Biglietti di ingresso, merchandising, bookshop, mostre itineranti potrebbero generare un flusso di risorse in grado di tamponare la situazione. Intendiamoci: nessuno pretende di mantenere realtà complesse come quella di Pompei o della vicina Ercolano vendendo libri, tazze e magliette. Un management qualificato, però, potrebbe iniziare a convincere l’UNESCO e, chissà, diventare un progetto pilota per la cultura italiana.